Lo svapo non è fumo, se davvero vogliamo ridurre il numero di fumatori bisogna tassare (poco) i liquidi

La Commissione europea ha presentato la proposta di revisione della Tobacco Excise Directive, introducendo per la prima volta accise minime armonizzate sui liquidi da inalazione. L’obiettivo dichiarato è condivisibile: tutelare la salute pubblica e garantire il buon funzionamento del mercato interno. Ma il rischio concreto è che queste misure, così come formulate, producano l’effetto contrario.

I ‘vantaggi’ di utilizzare lo svapo

Lo svapo non è fumo. È una tecnologia diversa, che milioni di adulti hanno già scelto come strumento per ridurre il rischio rispetto alle sigarette tradizionali. Centinaia di studi scientifici indipendenti lo confermano: secondo Public Health England lo svapo è il 95% meno dannoso rispetto al fumo tradizionale; l’Institut Pasteur e il Royal College of Physicians hanno documentato un impatto molto inferiore in termini di cancerogenicità; ricerche condotte dall’Università di Oxford hanno dimostrato l’efficacia dello svapo nei percorsi di cessazione.

Un elenco che potrebbe essere molto più lungo. Ignorare queste evidenze significa ridurre le possibilità per milioni di fumatori di abbandonare la vecchia sigaretta, che solo in Italia causa la morte di oltre 90.000 persone ogni anno secondo le stime più recenti.
Alcune misure proposte dalla Commissione rischiano purtroppo di produrre l’effetto opposto a quello dichiarato. L’introduzione di una tassazione ad valorem – cioè calcolata sul prezzo di vendita – avrebbe conseguenze negative: renderebbe meno accessibili i liquidi di qualità superiore per i consumatori e graverebbe sulle migliaia di PMI che costituiscono l’ossatura del settore, esponendo al tempo stesso il mercato al rischio di dumping da parte di produttori extra-Ue. Una simile misura non favorirebbe né la tutela della salute pubblica né un quadro regolatorio chiaro e stabile. Il testo della proposta prevede inoltre aliquote minime basate sulla concentrazione di nicotina: fino a 15 mg/ml, il 20% del prezzo o 0,12 €/ml; oltre i 15 mg/ml, il 40% o 0,36 €/ml. Riteniamo che penalizzare i prodotti con concentrazione più elevata sarebbe un errore, perché sono quelli che più spesso consentono ai fumatori di compiere il primo passo nella transizione.

Una tassazione ragionevole conviene a tutti

L’esperienza italiana è un esempio concreto che non può essere ignorato. Tra il 2014 e il 2018, aliquote comprese tra 0,37 e 0,58 €/ml hanno reso i prodotti da svapo poco accessibili, con entrate fiscali molto inferiori alle attese e un’espansione del mercato nero. Quando invece, nel 2019, l’accisa è stata ridotta a 0,09 €/ml, le entrate dello Stato sono aumentate di oltre 10 milioni di euro e il mercato legale ha potuto crescere. È la dimostrazione che una tassazione ragionevole conviene a tutti: ai cittadini, allo Stato e alle imprese. Inoltre, secondo uno studio Ipsos, il mercato nero resta tuttora rilevante: in Italia il 29,7% del valore complessivo degli acquisti di e-cig è riconducibile a canali illegali. Con un’aliquota di 0,36 €/ml questa quota sarebbe destinata a crescere, con conseguenze dannose sia per la salute dei consumatori sia per le entrate fiscali.

Aliquota uniforme

Per queste ragioni, come ANAFE e IEVA chiediamo tre modifiche essenziali alla proposta: fissare un’aliquota uniforme non superiore a 0,12 €/ml, indipendentemente dalla concentrazione di nicotina; adottare esclusivamente un modello volumetrico, semplice e trasparente; definire i prodotti da svapo come “nicotine products”, evitando etichette improprie che li associno al fumo.
L’Europa ha davanti a sé un’occasione decisiva. Se davvero vogliamo ridurre il numero di fumatori, dobbiamo mantenere accessibili e convenienti gli strumenti che hanno dimostrato di aiutare milioni di persone a cambiare. Non si tratta di una battaglia di principio, ma di buon senso: tutelare la salute pubblica, garantire entrate fiscali stabili e sostenere migliaia di piccole e medie imprese che ogni giorno operano legalmente in tutta Europa generando occupazione e sviluppo. È con questo spirito costruttivo che invitiamo le istituzioni europee e nazionali a riconsiderare le disposizioni della nuova direttiva.