L'editoriale
L’opposizione di Schlein non decolla: perché l’area centrista può fare la differenza
Su questo quotidiano si è aperto un interessante dibattito sulla situazione politica e sul sistema dei partiti. Mi inserisco a gamba tesa con un giudizio negativo, del tutto personale, ma basato su due valutazioni di fondo: sia il centrodestra, sia il centrosinistra sono solcati da contraddizioni molto profonde riguardo le scelte di geopolitica e di politica estera.
Nel centrodestra mentre Fratelli d’Italia, Forza Italia e Noi Moderati sono atlantici, europeisti, solidali con l’Ucraina e in modo equilibrato con Israele, Salvini – e ancora più Vannacci – fanno a gara su chi è più putinista (molto più equilibrata è invece la posizione dei presidenti di regione leghisti, da Fontana all’uscente ma molto rilevante Zaia, fino a Fedriga).
Se Dio vuole il campo largo è ancor più disarticolato. Da sempre Giuseppe Conte è insieme filo-cinese e filo-putinista. Fratoianni e Bonelli sono favorevoli in modo acritico con tutti i palestinesi senza far troppe distinzioni perché sono entrambi sia anti americani sia tiepidi europeisti e non sostengono l’Ucraina in nome di un pacifismo del tutto unilaterale. Nel Pd c’è su questo nodo decisivo il caos: a fronte della posizione atlantista ed europeista dei riformisti (Picerno, Guerini, Gentiloni, Quartapelle, Morando, e altri, con un Bonaccini in stato confusionale), la maggioranza intorno a Schlein è del tutto inattendibile perché confusa e oscillante.
Il giudizio di fondo è quindi la conseguenza naturale di questa analisi: per l’esistenza di antioccidentalismi sia del centrodestra che del centrosinistra, il rischio è che un riformista non si riconosca in nessuna delle due posizioni oggi dominanti del sistema politico italiano. Ça va sans dire, c’è’ un vuoto politico lasciato dalla distruzione del Partito Socialista Italiano che può essere in parte riempito dall’aggregazione al centro di una forza politica frutto dell’incontro fra componenti liberali, cattoliche e socialiste, che abbiano però posizioni assai chiare e incisive in primo luogo in politica estera a difesa della Ucraina, in un Israele non oltranzista, ma che anche siano impegnate nel rilancio dell’industria italiana, della produttività e conseguentemente dell’aumento dei salari.
L’auspicio di un riformista è quindi che si coagulino uno schieramento di forze sindacali distinte e distanti dalla Cgil di Landini: in primo luogo la Cisl, ma anche una Uil che superi finalmente l’allineamento nei confronti della demagogia del sindacato rosso. Difatti il Segretario non ha indetto uno sciopero per Stellantis, né tantomeno ha impostato per i bassi salari quella contrattazione articolata che, specie al Nord, avrebbe consentito incrementi in busta paga derivanti dai livelli di produttività nelle imprese a più alta tecnologia.
Conclusioni: è decisiva la costruzione di un’area centrista dinamica del tutto autonoma dalla maggioranza di governo e altrettanto (o ancor di più in certi momenti) dall’opposizione, se essa continua ad essere dominata dalle posizioni di Schlein nel Pd. Per non parlare del resto, cioè di Conte, Fratoianni e Bonelli. Vista l’imprevedibilità della posizione di Trump riguardo alla guerra fra Ucraina e Russia, è decisivo che l’Europa si schieri in modo chiaro e netto a sostegno di Kyiv. Di conseguenza, tenendo conto dell’ambiguità sul tema di Salvini, della Lega e di alcuni dei partiti del campo largo, è fondamentale che questa scelta sia uno dei tratti distintivi della formazione di centro.
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