Ci sono alcune parole chiave che aiutano a leggere lo stato dell’arte della maggioranza Meloni dopo il bilaterale di Parigi, prima del Consiglio europeo della prossima settimana – l’ultimo prima della pausa estiva – e nelle ore in cui la maggioranza è alle prese con la stabilizzazione di Forza Italia post-Berlusconi, s’attorciglia sul Mes alla Camera e sul decreto Lavoro viene sconfitta da un pareggio in commissione Lavoro al Senato.
Proviamo a metterle in fila, sono sei, con altrettanti hashtag: #fatica; #stallo; #necessità; #alleanzeUe; #pattodistabilità; #equilibrio (della maggioranza Meloni). La “fatica” è quella percepita nel bilaterale all’Eliseo quando lunedì Macron ha ricevuto Giorgia Meloni dopo sette mesi di tensioni e riavvicinamenti e nuove gelate: sorrisi di circostanza; poche e veloci dichiarazioni dei due leader prima dell’incontro e senza domande, con lei che dice “non siamo ragazzini che litigano, gli interessi delle Nazioni vengono prima” e lui che replica con “ci unisce la Storia”. Soprattutto un Patto economico firmato al Quirinale nel 2021 il cui garante è Sergio Mattarella che infatti è stato a pranzo all’Eliseo dieci giorni fa.
Se sul dossier Ucraina non serve neppure discutere, sul resto passa la sintesi che è un evergreen: “Molti passi avanti”. E qui già emerge la necessità di un accordo purché sia. Siamo alla seconda parola chiave: la necessità di un asse Roma-Parigi ora che a Bruxelles si stanno negoziando le nuove regole del Patto di stabilità (un’altra parola chiave) che vedono il nord Europa – Germania compresa – compatto contro il sud europa e i paesi con debito alto. Il falco tedesco Lindner pretende un taglio annuale pari almeno all’1% di pil.
Il ministro Giorgetti l’ha messa così: “Gli aspetti tecnici non prevalgano su quelli politici”, ovverosia fuori le spese per investimenti digital, green ed energetici dal calcolo di deficit e debito. Parigi ha avvertito Berlino: “La rigidità ci ha già portato in recessione”. In queste condizioni Parigi e Roma sono costretti a restare dalla stessa parte, piaccia o meno ai due protagonisti. Ci sono interessi comuni e realtà concrete. Ad esempio, come ha annunciato Macron, il sistema antimissile Samp-T franco-italiano è già operativo in Ucraina. Ed è solo il primo passo di un progetto più vasto. Anche gli appetiti della francese Vivendi sul mercato italiano sono condizionati dal Patto del Quirinale: vietati scippi e aggressioni. La necessità non riesce però a coprire lo #stallo. Ad esempio sull`immigrazione. E` vero, Parigi e Roma seguono la stessa linea sul principio della difesa esterna dei confini europei e della necessità di cambiare le regole del soggiorno e dell’asilo.
Ma con Libia e Tunisia, da dove partono i flussi, Roma e Parigi non hanno un approccio condiviso. L’11 giugno Meloni ha portato a Tunisi von der Leyen e il premier olandese Rutte per promettere soldi europei in attesa che si muova il Fondo monetario. In cambio però la missione europea non ha ottenuto alcun impegno da parte del presidente Saied, né sulle riforme né sull’idea di far diventare la Tunisia come la Turchia. Ieri è andato a Tunisi il ministro dell’Interno francese German Darmanin e ha annunciato un pacchetto di 26 milioni di dollari di aiuti per bloccare la partenze verso l`Europa. Saied ha taciuto. Acconsente? Anche con la Libia gli approcci sono paralleli ma non coincidenti: Parigi ad esempio non avrebbe gradito i contatti non concordati di Roma con il generale Haftar dalla cui spiagge sono partiti, nel frattempo, centomila persone.
Si può dire però che Francia e Italia saranno dalla stessa parte nel Consiglio europeo della prossima settimana (29-30 giugno). Ora, su tutto questo ci sono due convitati di pietra che non erano nell’agenda del bilaterale ma determinano tutte le dinamiche da qui al prossimo giugno (2024) quando si voterà per le Europee. Prima di tutto c’è un tema di alleanze europee. Macron e Meloni sono avversari in Europa. Peggio, il presidente francese vede nella premier italiana l’insidiosa front woman dell’onda di destra che sembra prendere forma in Europa.
Non è più il “pericolo Le Pen“, anzi, le distanze tra le due donne della destra sono ormai assai marcate. Piuttosto, Meloni guida il gruppo dei Conservatori che vorrebbe tanto portare dalla sua parte il Ppe e dare vita, tra un anno, ad una maggioranza di centrodestra dando il benservito al mix Ursula (Ppe, Pse, Liberali). Attenzione però che i voti di Liberali e Renew Europe potrebbero a quel punto diventare decisivi.
Il secondo convitato di pietra sono gli equilibri di maggioranza nel governo Meloni, cioè i rapporti con Salvini, che a Strasburgo invece “abita” lo stesso gruppo di Le Pen, e quelli con Forza Italia che è l’unico gancio e aggancio della maggioranza con il Ppe. Gli alleati di governo non stanno facendo sconti alla loro premier. Anzi, alzano il prezzo. Va letto come un avvertimento di Forza Italia il pareggio con cui ieri in Commissione Lavoro il governo ha visto bocciare un nuovo pacchetto di emendamenti (10) al decreto Lavoro presentati da Fratelli d’Italia arrivati quando il testo era già in aula.
C’è chi ha puntato il dito su Claudio Lotito e Dario Damiani, i due senatori azzurri che hanno subito chiarito: “E’ stato solo un contrattempo, eravamo impegnati in altro”. Ma si sa come sono certi “contrattempi”: parlano più di mille parole. E’ invece un messaggio chiaro al governo Meloni la lettera del Capo di gabinetto del ministro Giorgetti (Lega ma in quota tecnici) con cui si dice che “la ratifica del Mes rafforza il valore dei Btp“. Affermazione che sconfessa la linea del governo che non ha mai voluto ratificare il Mes. E mette nuovamente nei guai la premier. Il 30 giugno l’aula della Camera dovrà votare la ratifica. I lavori in Commissione vanno a rilento. Il messaggio di Giorgetti a tutta la maggioranza, Lega compresa, è molto chiaro: o ratifichiamo il Mes o non ci danno la rata del Pnrr e ci massacrano con le nuove regole economiche. Meloni era andata a Parigi per promuovere Roma come sede del`Expo2030. Una mission quasi impossible visto la cura con cui Macron ha ricevuto il principe Bin Salman e la candidatura della favorita Riad. Ma è evidente, da quanto sopra, come l’obiettivo del viaggio fosse ben altro.
