Dopo quasi due decenni di trattative, l’Europa sembra finalmente pronta a chiudere l’accordo commerciale con il Mercosur, una sorta di comunità economica sudamericana che richiama, in scala, la nostra vecchia CEE. Il testo è sul tavolo del Collegio dei Commissari, prima di passare agli Stati membri e al Parlamento europeo.

Questa vicenda assai positiva dimostra che le grandi scelte raramente maturano secondo la loro l’importanza nei tempi ordinari: si compiono in fretta quando lo scenario si fa minaccioso per chi fino a ieri rinviava, sollevava pretesti o difendeva lo statu quo. Stavolta la spinta arriva dalla ruvida politica americana: con i dazi ed inimicizia calati sul tavolo con la spada di Brenno. Trump e un contesto globale sempre più cupo di guerre e nubi nere hanno mutato radicalmente il clima. L’accordo con i sud americani era rimasto per anni ostaggio del solito corporativismo europeo, dalla preoccupazione di danneggiare le produzioni locali. Come se vivessimo in una riserva chiusa al mondo, dimenticando che il criterio decisivo per i mercati è il rapporto qualità-prezzo convenienti.

Le resistenze sono avvenute soprattutto da Francia, Polonia e Italia. I governi, invece di spiegare l’opportunità di allargare il mercato, hanno agitato loro stessi le acque: che ne sarebbe stato delle escargot francesi o della ’nduja calabrese? Alla fine, situazione globale e le solite compensazioni promesse dalla UE hanno cambiato le cose. Ora speriamo che quegli aiuti non somiglino all’ennesima rendita assistita. Quelli si che distruggono le nostre produzioni, non il mercato. Il trumpismo e la coalizione promossa dagli autocrati mondiali, ha ricordato con brutalità che il mondo non è più quello a cui siamo abituati: i nemici restano più o meno gli stessi, ma gli amici si mantengono tali solo se conviene. Così si è arrivati di corsa a siglare intese con brasiliani, argentini, uruguaiani e paraguaiani, aprendo un’area di scambi da circa 300 milioni di abitanti. Un mercato che offre sbocchi immediati, e sarà determinante nei prossimi decenni, quando i tassi di crescita sudamericani si consolideranno e la domanda interna esploderà.

I vantaggi sono chiari: meno burocrazia, barriere doganali divelte, più opportunità per consumatori e imprese. In Sudamerica vivono milioni di italiani, tedeschi e polacchi: un legame culturale che potrà amplificare gli effetti positivi. Al tempo stesso l’accordo è un argine alla penetrazione di Cina e Russia, da tempo molto attive nella regione. È una sfida geopolitica che non possiamo permetterci di perdere, perché significherebbe lasciare campo libero a chi ha fatto della conquista silenziosa dei mercati la propria arma principale.

Tutto bene, dunque? Non del tutto. Molto dipenderà dalla capacità dell’Europa di trasformare l’intesa in strumento di crescita commerciale ma anche di miglioramento delle innovazione nei nostri settori produttivi. La lezione è chiara: la storia accelera, e chi non corre resta indietro. Se l’Europa saprà capirlo, anche altri dossier cruciali potranno finalmente godere della stessa consapevolezza e darci grandi opportunità.

Raffaele Bonanni

Autore