Diplomatico italiano, già ambasciatore a Berlino, Tel Aviv e ad Ankara, profondo conoscitore dei dossier europei e transatlantici, Luigi Mattiolo è stato Consigliere diplomatico di Palazzo Chigi.

Alla luce del mancato accordo Putin–Trump, quale spazio di manovra resta all’Italia per evitare un congelamento instabile del conflitto russo-ucraino?
«L’Italia ha e continuerà ad avere uno spazio di manovra se, come ha fatto sinora, continuerà a contribuire alla coesione occidentale, muovendosi in sintonia con gli altri membri del G7 e i principali partner dell’Unione europea e continuando a garantire il massimo sostegno, sul piano politico, diplomatico e militare all’Ucraina. Soltanto la fermezza sui principi e la coerenza in questo impegno potrà dissuadere Putin dall’idea che alla lunga potrà contare sulla stanchezza degli alleati di Kyiv, che sarebbe così destinata a soccombere ed accettare le condizioni capestro imposte da Mosca».

Spese per la difesa: il 2% è un tetto o un punto di partenza?
«In sede Nato l’Italia, insieme a tutti i suoi alleati, ha già accettato il principio di elevare sensibilmente l’obiettivo del 2 per cento, a sua volta concordato anni fa. Servono maggiori investimenti per far fronte a minacce più sofisticate e intrusive, ma è ancora più urgente ottimizzare risorse evitando duplicazioni e inutili competizioni tra paesi europei che producono oggi circa 170 sistemi d’arma a fronte dei 30 prodotti dagli Stati Uniti».

Meloni ha detto che bisogna “costringere la Russia a patti”. Con quali leve concrete? Solo sanzioni o anche diplomazia sui Paesi terzi?
«Fermo restando che la maniera più efficace per indurre la Russia a “venire a patti” è mantenere saldo l’impegno militare a fianco dell’Ucraina, le sanzioni hanno prodotto effetti e possono essere affinate. Il nodo è l’applicazione: servono pressioni su chi non le applica, dall’India agli allineamenti interni all’UE (Ungheria, Bulgaria), fino alla Turchia in ambito atlantico. Il vero sforzo diplomatico va in queste direzioni».

Confisca dei beni russi: scelta praticabile o boomerang giuridico-finanziario per l’Europa?
«È una decisione molto difficile perché senza precedenti ed esporrebbe i paesi detentori dei depositi in valuta russa a impugnazioni davanti ai tribunali. Andrebbero costituiti fondi di garanzia per gestire il rischio e definiti criteri condivisi per l’impiego di queste risorse da parte del governo ucraino».

Come giudica, in generale, la postura internazionale di Giorgia Meloni tra Ucraina, Medio Oriente e rapporto con gli alleati?
«Mi sembra una postura ispirata alla necessaria prudenza e a una visione equilibrata sia dei conflitti in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente, sia della necessità di salvaguardare il legame transatlantico e il dialogo tra Stati Uniti ed Europa».

Medio Oriente: a quali condizioni la tregua può reggere e trasformarsi in percorso politico?
«In cima deve restare il disarmo di Hamas, unica garanzia che il conflitto si interrompa e si attui poi il cosiddetto Piano Trump. Ciò implica l’esclusione di Hamas dal governo della Striscia e il coinvolgimento diretto dei principali paesi arabi sunniti e di altri paesi musulmani, come l’Indonesia, nella verifica del disarmo sul terreno. A quel punto si potrà costruire una nuova governance a Gaza sotto l’egida dell’Autorità palestinese, con personalità non compromesse e competenti. La soluzione dei due Stati, internazionalmente riconosciuti e in pace tra loro, comincerebbe così ad avere i connotati reali che tutti auspichiamo».

Europa della difesa: l’Italia dovrebbe spingere per un’unione militare più forte?
«Certamente. Un’autentica identità europea di sicurezza e difesa, complementare alla Nato, richiede procurement comune e pochi grandi poli produttivi settoriali tramite alleanze industriali intraeuropee, già in corso tra aziende italiane, tedesche e francesi. Le capacità dovranno rispondere a comandi integrati europei, sul modello Nato. Poiché non c’è ancora pieno consenso né lettura univoca delle minacce (si veda la Russia), la via maestra è avviare cooperazioni rafforzate tra paesi UE con visioni convergenti, auspicando adesioni successive dei partner oggi più riluttanti».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.