Nel contesto del decreto legge n. 18 del 2020, noto come “Cura Italia”, tra le varie materie oggetto di intervento d’urgenza ha trovato attenzione anche la condizione del nostro sistema penitenziario, la cui situazione di degrado, connessa non solo all’affollamento, era già stata da tempo evidenziata. Esplosa con gli episodi “di disordine e sommosse”, la situazione avrebbe dovuto essere affrontata da tempo senza attendere che l’emergenza sanitaria fungesse da detonatore.
Con gli articoli 123 e 124 del citato decreto si è intervenuti prevedendo che i condannati, per i quali la pena residua, anche se conseguenza di maggior pena, sia non superiore di diciotto mesi possano, a seguito di istanza, scontarla presso la propria abitazione ovvero in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, che sia effettivo e idoneo anche in relazione alla tutela della persona offesa.
Sulla traccia del più volte citato provvedimento del 2010 sono previste specifiche esclusioni soggettive: soggetti condannati per i delitti di cui all’articolo 4 bis della legge 354 del 1975; delinquenti abituali e professionali per tendenza (ex art. 102, 105, 108 del codice penale.); soggetti condannati per i delitti di cui agli articoli 572 e 612 bis del codice penale.; detenuti soggetti a rapporti disciplinari perché coinvolti nei disordini e sommosse dalla data del 7 marzo 2020 fino al momento di entrata in vigore del decreto; detenuti che siano stati sanzionati disciplinarmente ai sensi dell’articolo 77 del decreto 230 del 2000; detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis della legge 354 del 1975 (salvo accoglimento del reclamo).
Nei confronti di questi soggetti la misura della detenzione domiciliare – esclusi i minorenni e i soggetti con pena residua non superiore a sei mesi (comma 3) – saranno sottoposti a controlli elettronici, previo consenso. Il controllo cesserà quando il condannato ammesso alla detenzione entrerà negli ultimi sei mesi di pena residua. Una previsione specifica è prevista per i minorenni (comma 7) nonché per i soggetti sottoposti a programmi di recupero (comma 6).
Con l’articolo 124 del decreto legge, il Cura Italia, si disciplina la durata delle licenze in itinere al condannato in semilibertà che può protrarsi fino al 30 giugno 2020, con superamento dei limiti ordinari di durata. Le disposizioni opereranno dalla data di entrata in vigore del decreto fino al 30 giugno 2020, ovviamente fatta salva – dovendosi ritenere implicita – la protrazione della situazione emergenziale che richiederà un nuovo provvedimento d’urgenza. Trattandosi di permanenza dello stato restrittivo – con conseguente integrazione del reato di evasione ex art. 385 del codice penale – il periodo verrà detratto dalla pena ancora da scontare e dovrebbe indurre a considerare residuali le ipotesi di violazione della detenzione domiciliare prevista.
Sulla base di queste premesse si è ritenuto di non considerare ostativi alcuni elementi di cui alla legge 199 del 2020 (pericolo di fuga e di reiterazione dei reati). Tuttavia, con il comma 2 si prevede che il magistrato di sorveglianza possa escludere il provvedimento qualora ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura. Il provvedimento prospetta non poche criticità.
In primo luogo, in una materia come quella attinente alla libertà personale, governata dal principio di legalità, suscita riserve l’appena riferito potere del magistrato di sorveglianza di precludere l’accesso alla detenzione sulla base di non meglio precisati gravi motivi ostativi, considerate – come detto – le ampie situazioni di esclusione dall’accesso alla misura detentiva alternativa. Si conferirà, in tal modo al magistrato – e all’amministrazione – un ampio potere discrezionale. Se poi si dovesse trattare del cosiddetto pericolo di recidiva, il dato confliggerebbe con quanto detto nella Relazione illustrativa, con conseguente superamento della semplificazione di quanto previsto dalla legge 199 del 2010.
In secondo luogo, non può non essere segnalato come il decreto Cura Italia non affronti il tema dei soggetti ristretti in misura cautelare. L’obiezione che si adduce al riguardo, attiene al fatto che la concessione di misure alternative al carcere (con braccialetto) sono già previste e se non sono state disposte, vuol dire che non possono essere applicate e che la verifica della fruibilità della detenzione domestica richiederebbe tempi lunghi, incompatibili con la natura emergenziale del provvedimento e con la citata semplificazione delle procedure per i condannati rispetto alla disciplina a regime.
Va tuttavia considerato che il provvedimento in esame si colloca nel contesto eccezionale dell’emergenza sanitaria, della necessità di alleggerire la presenza nei penitenziari, di evitare i contagi e non risulta legato a elementi fisiologici di sovraffollamento. Se così è, una attenzione ai soggetti in custodia cautelare, contenuta nel tempo, al pari di quella dei condannati non appare irragionevole. Si consideri che, ferme le cause ostative, legate alla gravità dei reati, si tratta di soggetti non solo presunti innocenti ma per i quali non è escluso il proscioglimento, come i dati statistici evidenziano, con oneri di riparazione a carico dello Stato.
In terzo luogo, e si tratta del profilo di maggior criticità, destinato a creare forte tensione dentro gli istituti penitenziari, va sottolineato – come già evidenziato da più parti – la questione legata alla disponibilità dei braccialetti. Il provvedimento ne è consapevole, ma non del tutto, non essendo sufficiente affermare che i soggetti entro i sei mesi di pena residua ovvero quelli che medio tempore entreranno in questa fascia di residualità della pena non saranno sottoposti a controllo e che si inizierà a considerare la misura alternativa ai condannati con le pene più vicine ai sei mesi.
A parte la considerazione che nei prossimi mesi agli stimati 3000 detenuti destinatari della detenzione, si aggiungeranno altri la cui pena residua entrerà sotto i diciotto mesi, va sottolineato che la mancanza di braccialetti per soddisfare il diritto che – in presenza delle condizioni – la legge riconosce al condannato, creerà non poche tensioni nelle carceri, senza considerare sulla base di quali criteri i braccialetti disponibili saranno distribuiti tra gli uffici giudiziari chiamati ad applicare le disposizioni.
Si riproducono le questioni che già avevano interessato l’operatività dell’articolo 275 bis del codice di procedura penale in materia cautelare. Una risposta potrà arrivare dalla magistratura di sorveglianza che potrebbe recuperare la disciplina della legge 199 del 2010, prescindendo dalla necessità del controllo elettronico.
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