Luciano Violante, presidente onorario della Fondazione Italia decide e presidente della Fondazione Leonardo è ottimista: i tempi stanno cambiando e la fluidificazione dei processi decisionali non è più rimandabile.
Una sua sensazione. Stiamo entrando in un momento in cui c’è finalmente un governo con cui le riforme si possono fare?
Alcuni interventi sono assolutamente necessari. Per esempio il Parlamento nella prossima legislatura non potrà funzionare se non viene approvata adesso una piccola ma incisiva riforma che lo faccia funzionare.
Quali riforme vede possibili?
Alcuni parlamentari stanno riflettendo sul monocameralismo, un Parlamento costituito da una sola Camera. Poi c’è l’ipotesi di intensificare i lavori del Parlamento in seduta comune. Altri sostengono che l’indirizzo politico, fiducia e voto finale sulle leggi, sia attribuito alla sola Camera dei Deputati. Si scelga, ma senza riforme alla prossima legislatura saremo paralizzati, mentre si deve andare avanti sul Recovery. Senza riforme è prevedibile un profluvio di decreti legge e voti di fiducia, oppure avremo la paralisi. Perciò occorre senso di responsabilità, altrimenti frana anche il Recovery.
Se i partiti collaborano…
Appunto. Il problema non è del governo; è dei partiti a partire da quelli di maggioranza. Non sottovaluto i problemi e rispetto le difficoltà. Ma avere un Parlamento in grado di funzionare è un dovere civile prima che politico e costituzionale.
C’è una funzione di trazione del Governo molto forte, rispetto a prima.
È costituito da personalità di riconosciuto prestigio.
Lo stesso vale per la giustizia? C’è una spinta che nasce anche dall’esigenza di prendere il Recovery, che senza un sistema di giustizia funzionante può evaporare.
Assolutamente. I dati sulla giustizia civile che circolano vanno visti con attenzione. Tre anni or sono facemmo una ricerca dalla quale emergeva che i dati sulla giustizia civile sono del tutto diversi da quelli di cui si parla. Sono molto migliori. Se faccio la media tra un ufficio che funziona e uno che non funziona, ho un dato falso; bisogna accertare ufficio per ufficio e capire perché a parità di regole alcuni uffici funzionano e altri sono in crisi. Dopo questo accertamento si cambiano le norme. Altrimenti chi non funzionava prima della riforma continuerà a non funzionare dopo la riforma.
Lei propone un’estensione delle competenze del Tribunale delle Imprese.
Il Tribunale delle imprese in genere funziona bene; deve essergli attribuita anche la competenza penale. Ci sono profili societari delicatissimi, tra normative interne, Banca d’Italia, leggi europee, Antitrust, regole della Banca Europea: solo chi si occupa di questi problemi a tempo pieno può avere le conoscenze teoriche e pratiche necessarie.
Per mettere mano alla giustizia bisogna partire dal Csm.
C’è un problema di governo della magistratura inadeguato alla magistratura di oggi. Oggi la magistratura è un pezzo della governance del Paese. Le difficoltà del Csm vanno affrontate con efficacia. Dagli anni Settanta la politica cede alla magistratura quote rilevanti della propria sovranità; il diritto è sempre meno legislativo e sempre più giurisprudenziale; la magistratura, non per sua scelta, è diventata una componente del sistema di governo del Paese. Ma alla espansione dei poteri non ha corrisposto l’adeguamento delle responsabilità.
Della proposta di riforma di Neppi Modona cosa pensa?
Sono d’accordo con l’opportunità di seguire due tempi nella riforma del Csm. Sono rispettosamente in disaccordo sulla riforma della legge elettorale, sulla riduzione del numero dei magistrati nel Csm, sulla diversa selezione dei componenti laici.
Che cos’è l’Alta corte, nella sua idea?
Un organismo eletto dal Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Cassazione e Parlamento. Come per la Corte Costituzionale, con i requisiti richiesti per i giudici costituzionali. Che giudichi in grado di Appello sulle decisioni disciplinari e in primo grado e in grado di appello sulle decisioni amministrative. In primo grado in composizione semplice e in appello in composizione plenaria. Come la Corte europea dei diritti dell’Uomo, per capirci.
A proposito della Cedu, è sorpreso della richiesta di chiarimenti rilevati sul processo Berlusconi?
Ha suscitato abbastanza scandalo quella dichiarazione del magistrato Amedeo Franco, pubblicata a suo tempo dal Riformista, sul processo di cui parliamo. Da quel che ho capito era infondata, ma la Cassazione avrà modo di rispondere.
Non è sorpreso dai chiarimenti chiesti?
Ero sorpreso dall’atteggiamento del dottor Amedeo Franco che pur ritenendo di aver fatto parte di un collegio giudicante viziato da pregiudizi, ha firmato la sentenza e poi è andato a riferirne in un colloquio riservato con il condannato. Se si rileva un problema, lo si solleva davanti alle autorità competenti, al Consiglio superiore della magistratura o al Presidente della Corte di Cassazione. Ci possono essere problemi ma questi vanno comunicati ai soggetti abilitati. Altrimenti si commette un errore.
Le mancate comunicazioni ai soggetti preposti segnano il caso Amara. C’è una responsabilità di Davigo abbastanza importante.
Mentre nel passato gli attacchi alla magistratura venivano dall’esterno della magistratura, oggi vengono dall’interno. Sono gli stessi magistrati che pongono in discussione la tenuta morale della istituzione. Non saprei dire qui chi ha ragione e chi ha torto, ma la questione è diventata patologica. La Costituzione dice che chi esercita funzioni pubbliche deve farlo con disciplina e onore. In molte vicende non c’è stata né disciplina né onore.
E sulla questione in sé? Esiste una Loggia Ungheria?
Non lo so, non so neanche se sia una loggia, ammesso che sia mai esistita.
Diciamo che è un gruppo di amici, ognuno con la sua fetta di potere.
Non ne ho idea e non faccio ipotesi. Vedo anche un numero elevato di magistrati processati o arrestati o condannati. Occorre porre al centro l’etica della professione di magistrato. I magistrati sono diecimila, quelli in discussione saranno una trentina. Ma gettano discredito su tutta l’istituzione. Non abbiamo mai visto tanti magistrati imputati, arrestati, condannati come oggi. E non è un problema da poco.
E dunque?
Siamo di fronte alla necessità di una seria presa di consapevolezza. Le questioni morali si risolvono con svolte morali.
E anche dividendo due Consigli superiori?
Sui due Consigli superiori non sono d’accordo. La maggior parte delle questioni che suscitano allarme nell’opinione pubblica vengono dalle Procure della Repubblica. Costituire le Procure come un regno separato e distante, con propri organismi diversi da quelli dei giudici, accentua ancora di più gli aspetti corporativi di questo settore. E quindi l’idea che si possa far tutto. Più c’è una interlocuzione tra giudici e Pm negli organi di governo e meglio è.
Negli ultimi anni abbiamo vissuto una ondata di populismo giudiziario, con i Cinque Stelle. Secondo lei è finito quel ciclo?
Direi di sì. È finito perché era una deriva talmente assurda che non poteva durare. Ma anche perché gli stessi parlamentari e Ministri del M5S hanno cominciato a registrare su loro stessi gli effetti di questa forma di ossessione punitiva. E le ossessioni punitive – come tutte le ossessioni – devono prima o poi essere curate. In questo caso dalla realtà.
Una cura immediata serve alla prescrizione.
La Ministra Cartabia sta facendo benissimo anche su questo tema e il ritorno alla riforma dell’ex guardasigilli Orlando può essere la soluzione migliore. L’idea di fondo è che nessuno debba essere sottoposto a un processo infinito. Tenga presente che essere sotto inchiesta significa anche avere problemi di controllo, di blocco della carriera per un funzionario pubblico, problemi per pagare il legale. Non sono cose da poco. Lo Stato non può tenere a lungo un cittadino al giogo.
