Manovra, la sindrome di accerchiamento di Giorgetti e le cattive compagnie

Il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti in occasione dell’esame della legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2026 e bilancio pluriennale per il triennio 2026-2028. Senato, Roma Lunedì 22 Dicembre 2025 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of economy Giancarlo Giorgetti on the occasion of the examination of the State budget law for the 2026 financial year and the multi-year budget for the three-year period 2026-2028. Senate, Rome, Monday December 22 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)

A volte viene il dubbio che Giancarlo Giorgetti soffra di depressione. È una condizione – quella dell’ottimo ministro – assolutamente comprensibile e giustificata tenendo conto dei problemi che deve affrontare e delle cattive compagnie che è costretto a frequentare, soprattutto nel suo partito. Quando il ddl di bilancio muoveva i primi passi nelle audizioni delle Commissioni Bilancio riunite, Giorgetti si “accollò” delle critiche che nessuno aveva rivolto alla revisione delle aliquote fiscali (parlò di massacro da parte di chi aveva il potere di farlo), in quanto tutte le istituzioni audite riconobbero che il governo aveva portato a termine l’azione di tutela (dall’inflazione e dal fiscal drag) dei redditi fino a 35mila euro e che era pertanto corretto un riequilibrio delle aliquote a beneficio dei redditi fino a 50mila euro.

In queste ore, mentre la manovra approda in Aula, corre voce che il ministro sia dispiaciuto per lo sgambetto dei suoi compagni di partito sulle pensioni (ma si può affidare il ruolo di relatore a Claudio Borghi?) che hanno costretto il Mef a sfornare a raffica nuovi emendamenti. Addirittura qualche esponente delle opposizioni aveva avanzato la richiesta di sue dimissioni in conseguenza della sconfessione subita. A pensarci bene, però, quella della “banda del buco” vicina a Matteo Salvini ha ottenuto una classica vittoria di Pirro, perché Giorgetti – e con lui il governo – pur sconfitti su di un aspetto secondario (l’incremento di qualche mese delle finestre mobili) ha salvato la normativa cruciale per la sostenibilità del sistema pensionistico ovvero l’adeguamento automatico con cadenza biennale dei requisiti all’incremento della aspettativa di vita.

È opportuno fare chiarezza su questo punto. L’indicizzazione automatica all’aumento della speranza di vita fu introdotta nel 2010 (riforma Sacconi ad opera di un governo Berlusconi a cui partecipava anche la Lega) ed estesa l’anno successivo al requisito di anzianità contributiva per il pensionamento anticipato (riforma “Fornero). L’aggiornamento dovrebbe avvenire di norma ogni due anni per tutti, tuttavia ci sono state diverse eccezioni. Con successivi provvedimenti l’adeguamento fu sospeso nel caso dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato dei lavoratori delle professioni cosiddette “usuranti” fino al 2027 e nel caso dei lavoratori soggetti a mansioni “gravose” per il solo 2019.

Poi, il governo gialloverde col decreto legge n. 4 nell’ambito dell’operazione quota 100 e dintorni sospese (al punto a cui era arrivato e cioè a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed un anno in meno per le donne) l’applicazione del meccanismo nel caso del requisito di anzianità contributiva del trattamento anticipato dei lavoratori soggetti al regime misto e dei lavoratori “precoci” per il periodo 2019-2026. Ma la legge di bilancio per il 2024 – ad opera dello stesso governo Meloni – ha limitato il periodo di quest’ultima disapplicazione alla fine del 2024. Pertanto dal 1° gennaio di quest’anno si sono compiute le verifiche previste da parte dell’Istat accertando che nel biennio 2025-2026 non si erano determinate, in conseguenza degli effetti della pandemia, le condizioni di incremento dell’aspettativa di vita idonee all’adeguamento dei requisiti.

Per il biennio successivo 2027-2028 gli indicatori demografici preventivavano una variazione in aumento di tre mesi. L’Inps, pertanto, si era già attrezzato per farvi fronte in via amministrativa. Poiché la madre degli imbecilli è sempre incinta, scoppiò una polemica sull’intenzione dell’Istituto di aumentare l’età pensionabile e cominciarono a circolare i veti e le opposizioni verso questa operazione, dimenticando che vi erano stati aggiornamenti negli anni 2013, 2016 e 2019, che avevano inasprito i requisiti, rispettivamente di tre, quattro e cinque mesi senza che nessuno se la prendesse. Per superare le polemiche, il governo ha pensato di scaglionare i tre mesi nel biennio 2027-2028, ma ha dovuto farlo in via preventiva e per legge a costo di sostenere un onere economico di 0,5 miliardi nel 2026, 1,8 nel 2027 e 1,0 nel 2028.

La normativa vigente, poi, fissa a 3 mesi il periodo tra la maturazione dei requisiti per il pensionamento anticipato e la prima decorrenza dei trattamenti previdenziali (la cosiddetta “finestra mobile”). Con l’emendamento contestato il governo aveva agito su questo corollario, aggiungendo, a scaglioni, qualche mese in più per ritardare – come tutti ritengono necessario – il pensionamento. Il ricorso a questa via indiretta è saltato, mentre non è stata toccata la norma, di valore permanente e strutturale, della indicizzazione all’attesa di vita, la cui applicazione non richiede alcun intervento legislativo, ma soltanto un decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, da emanare almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento. In sostanza, il clou della sostenibilità è ancora presente e… lotta insieme a noi.