Mario Ciancio, l’errore giudiziario durato 10 anni e nato dal ‘rispetto’ di Cosa Nostra

Mario Ciancio è un imprenditore. Mario Ciancio ricicla denaro per la mafia. Mario Ciancio è un editore. Il giornale di Mario Ciancio è asservito a Cosa Nostra. Mario Ciancio è innocente. Ce lo dice una sentenza che, per l’appunto, arriva in ritardo, a ben 17 anni da quando risultarono credibili le parole di un pentito di mafia che lo additava come complice di Cosa Nostra.
Il collaboratore sosteneva che un imprenditore messinese stesse riciclando il denaro della mafia in un affare relativo alla costruzione di un importante centro commerciale a Catania, in società con Ciancio.
All’editore viene quindi contestato il concorso esterno in associazione mafiosa, che punisce chi non è affiliato alla cosca ma la agevola, la rafforza, ne supporta il programma criminoso.

Il caso Mario Ciancio, verifiche su ‘rispetto’ con Cosa Nostra

Eppure, ad aprile 2012 la Procura di Catania, concluse le indagini, è certa che Mario Ciancio non abbia apportato alcun contributo a Cosa Nostra: “le fonti di prova raccolte potrebbero solo permettere di riscostruire a giudizio che effettivamente Ciancio Sanfilippo Mario ha avuto dei rapporti, a volte forse indirettamente, con persone legate a Cosa Nostra catanese e che da tale associazione sia stato sempre rispettato e non considerato come un nemico. Ciò, però, non appare certamente sufficiente per potere esercitare l’azione penale sostenendo che l’indagato abbia apportato un contributo causale all’associazione mafiosa, rafforzandola”.
Gli inquirenti chiedono quindi l’archiviazione del procedimento a suo carico. Ma il giudice non è d’accordo: c’è rispetto reciproco, e questo è sospetto, come sospette sono le grandi operazioni imprenditoriali intraprese al tempo. Occorrono nuove indagini.
Il Giudice per le Indagini Preliminari concede 150 giorni. Passano quasi 3 anni.
È il 2015, la Procura inverte la rotta e chiede il rinvio a giudizio: alcuni collaboratori di giustizia hanno puntato il dito. Ciancio è uno di cui ci si può fidare, un amico. Con lui si fanno affari, e anche la sua linea editoriale favorisce l’associazione.

Il caso Ciancio: l’accusa non regge, solo ‘accatastamento di dati e persone”

Mario Ciancio ricicla denaro per la mafia. Il giornale di Mario Ciancio è asservito a Cosa Nostra. Il primo giudice a pronunciarsi sul merito delle accuse è Gaetana Bernabò Distefano, GUP di Catania. 170 pagine di sentenza ed una conclusione: giuridicamente non può esistere il concorso esterno in associazione mafiosa nel nostro sistema penale ma, se anche fosse configurabile, gli elementi forniti dall’accusa non sarebbero in grado di dar corpo a fatti penalmente rilevanti a carico di Ciancio.
L’analisi del GUP è molto attenta e si sofferma su ogni elemento portato alla sua attenzione dalla Procura di Catania. L’accusa non regge.
Il giudice parla di un “accatastamento di dati e di persone” che prova solo l’ovvio: Mario Ciancio, noto imprenditore con attività in vari settori e direttore di uno dei maggiori quotidiani della Sicilia, ha contatti con moltissime persone. Ma in una situazione come questa non basta una “mera raccolta del dato, ma deve essere canalizzata in un dato settore (imprenditoriale o editoriale), collegata ad una situazione concreta, armonizzata con altri soggetti, appartenenti alla compagine mafiosa”.

Mario Ciancio, l’errore giudiziario durato 10 anni

Il materiale raccolto “non consente di capire cosa Ciancio effettivamente abbia fatto, quali condotte gli siano addebitate, quali siano i coimputati coinvolti nelle varie vicende, in che rapporto abbia in concreto operato, quali i ruoli rivestiti”. “Non sono state neppure indicate concrete condotte e concreti rapporti tra il Ciancio e soggetti mafiosi che possano ricondurre ad una condotta di partecipazione”.
“Non si capisce neppure perché il Ciancio avrebbe dovuto far parte, in termini di marginale concorso esterno, con la mafia di Catania. È come se si fosse cercato di costruire il piano secondo di un edificio, senza passare per la realizzazione di un primo piano”.

Oggi questa sentenza è stata di fatto confermata da altro GUP del Tribunale di Catania. Nel mezzo, però, ci sono quasi 10 anni di calvario giudiziario: la Procura ha impugnato quella decisione e la Corte di Cassazione, non condividendo il pensiero del GUP sul concorso esterno in associazione mafiosa, l’ha annullata “dimenticando” le quasi 100 pagine che hanno gridato l’innocenza di Mario Ciancio.
Oggi Mario Ciancio è un imprenditore, un editore.
Oggi Mario Ciancio è un “errore giudiziario” durato dieci anni.