Ambrogio
Milano, i riformisti rispondono all’appello: serve una politica che porti risultati
Serve un’agenda riformista
Francesco Ascioti, Azione
Milano è storicamente la città dei Riformisti, capaci di governare con pragmatismo e visione. Mentre a livello nazionale il bipolarismo ha marginalizzato il centro, soffocato da populismi e ideologismi, a Milano il riformismo resta l’unica vera chiave di governo. Dal 2011 i Riformisti hanno guidato la città e potranno continuare a farlo solo con un progetto serio, lontano dalle “coalizioni contro” tipiche della politica romana. Negli anni ‘70-‘80 il PSI seppe interpretare la nascita della classe media. Oggi quella stessa classe è in crisi, compressa da costi insostenibili e stipendi fermi. Per questo serve un nuovo riformismo ambrosiano, che riparta da tre priorità: Milano città universitaria, capace di attrarre studenti e trattenerli; sicurezza intesa come libertà, ottenuta con riqualificazioni, investimenti e vivibilità dei quartieri; lotta alle diseguaglianze, perché chi lavora a Milano deve poterci vivere. Una città dei soli super-ricchi sarebbe svuotata: Milano vive grazie a studenti, giovani professionisti e lavoratori. L’Agenda Riformista deve coniugare la vocazione internazionale con la qualità della vita quotidiana, offrendo un’amministrazione seria, pragmatica e non ideologica. Solo così i Riformisti saranno all’altezza della loro storia e dell’eredità dei grandi sindaci del passato.
Ma il riformismo c’è
Pietro Bussolati, Partito democratico
I segnali di crisi ci sono: dalle inchieste ad un clima nella società sempre più violento, sicuramente influenzato dalla guerra alle porte e dagli effetti sociali di una pandemia che ancora si fanno sentire. A ciò si aggiunge una certa propensione dei riformisti a dividersi e parallelamente un rafforzamento del populismo, come avviene quando la paura e l’instabilità diventano il carburante di estremismi che mettono in discussione le democrazie liberali stesse. Eppure, il riformismo, qua a Milano, è più forte di quello che si pensi. La città, ad esempio, non nasconde un dibattito pragmatico intorno allo Stadio anche se divide gli schieramenti. Non rinvia la decisione, ma la affronta. L’identità di Milano è il cambiamento, la sua capacità di coniugare innovazione e protezione dei cittadini. Anche la natura del riformismo cambia. La sfida principale di oggi è quella di rimettere in moto la macchina dello Stato e delle sue articolazioni, per renderla capace di proteggere la stabilità di famiglie e cittadini in un Mondo che può cambiare così repentinamente. Servono competenze, non burocrazie che subiscono il mercato per ridurre le diseguaglianze crescenti in tutto il mondo occidentale. Anche nel dibattito politico le forze riformiste sono tornate a dialogare dopo la “diaspora”, grazie ai Circoli Matteotti che si stanno diffondendo nel Paese. Milano ha un patrimonio di competenze e buon governo che va rilanciato, con la capacità di unire le differenze ma senza cedere a nostalgie e populismi. E chi altro può farlo se non i riformisti?
Riformisti sì, ma popolari
Filippo Campiotti, Forza Italia
Milano è sempre stata il laboratorio del riformismo italiano. Una città che sapeva crescere senza dimenticare la coesione, innovare senza rinunciare all’equilibrio sociale. Oggi però questa tradizione sembra in affanno. Da un lato, una Milano che corre – moda, lavoro, investimenti, grandi eventi – e dall’altro una città che fatica: giovani coppie alle prese con affitti sempre più alti, studenti in cerca di alloggi dignitosi, periferie che chiedono di sentirsi parte del progetto cittadino. Non basta esibire l’ennesimo record se intanto il tessuto sociale si sfilaccia e la vita quotidiana diventa più complicata. Qui si misura la crisi del riformismo milanese: quella cultura politica che sapeva unire crescita e responsabilità, sviluppo e buona amministrazione, innovazione e solidarietà. Oggi quella voce appare afona, quasi smarrita.
Eppure è proprio adesso che servono riformisti popolari: persone che abbiano come prima preoccupazione quella di ricostruire un popolo milanese, fatto di legami e fiducia reciproca. Capaci di mettere la persona al centro, di ricostruire legami e non solo statistiche, di rimettere il “modello Milano” al servizio dei cittadini e non viceversa. Per questo è decisivo che le forze moderate rafforzino il dialogo e costruiscano risposte credibili, capaci di unire crescita e coesione sociale. In questa prospettiva, il confronto in corso tra Forza Italia e Azione può rappresentare una novità importante: un laboratorio di riformismo popolare che metta Milano al centro e sappia restituire fiducia ai cittadini.
Unione o federazione dei riformisti
Paolo Costanzo, +Europa
La politica, quella sana, dovrà riflettere su come dare una prospettiva, una visione del futuro di Milano che assicuri la sicurezza e il pieno rispetto dei diritti individuali, sociali e ambientali e lavorare al più alto livello possibile in termini di indirizzo e gestione, anche correggendo normative amministrative che andranno allineate ai tempi e alla trasformazione della società. Dovranno essere neutralizzati gli “Ingegneri del Caos”, deve esserci una discussione pubblica rigorosa ed aperta che coinvolga la società civile, le forze politiche e le autorità. Si rende improcrastinabile una forza organizzata impegnata a realizzare giustizia sociale e a ridurre le disuguaglianze, un riformismo trasformativo capace di compiere le scelte necessarie a ristrutturare il sistema economico. L’unione o la federazione dei riformisti rappresenta una risposta affidabile all’egemonia di una destra le cui proposte, facili da comunicare e per lo più incentrate sulle identità culturali-territoriali, non possono tutelare gli interessi che dichiarano di rappresentare. Serve una visione di insieme capace di offrire una spinta emotiva e non solo pragmatica alle nuove politiche riformiste. Occorre pensare a una società che sia in grado di offrire nuove opportunità, più equa e giusta che non sia una aggregazione eterogenea di etnie e fasce sociali ma che si basi sugli individui, sulla tutela economica dei più deboli, sulla tutela delle specificità, della storia e delle diverse tradizioni culturali del territorio.
Il seguito c’è, ma è disorientato
Adriana Pepe, Partito Liberaldemocratico
L’inchiesta sull’urbanistica è la tempesta perfetta che ha rimesso al centro i problemi che affliggono Milano. Ha provocato un rigurgito di tutte le criticità che i milanesi rimproverano al governo cittadino: un modello di sviluppo che trascura chi non ce la fa, con giovani e famiglie spinti sempre più ai margini. E i riformisti liberali, in tutto ciò? Alcuni li vedono defilati, poco visibili. Vale la pena di ricordare nell’ultima tornata elettorale, Milano vide la formazione liberale e riformista raggiungere il 10% dei consensi. A livello internazionale, i liberal-riformisti sono quelli che più di tutti spingono per il riarmo a scopo deterrenza, oltre che per il sostegno del baluardo-Ucraina. Per smontare la strumentalizzazione del tema della sicurezza puntano su illuminazione, telecamere, immigrazione controllata e formazione continua, dall’arrivo all’inserimento nel Paese. Per San Siro, promuovono l’accordo con le società calcistiche che sgraverà l’amministrazione di un’attività non essenziale. Del modello Milano salvano tutto ma con una rinnovata attenzione alla realizzazione di un’edilizia per tutti, a trasporti migliori per i pendolari, a una mitigazione delle restrizioni all’ingresso delle auto in città e forse anche al completamento dei parcheggi a suo tempo bloccati. Oggi quegli elettori sono incerti e disorientati, ma ci sono. E il debutto del Partito Liberaldemocratico di Luigi Marattin offre opportunità di cambiare registro, sottrarsi all’esasperazione delle posizioni, mettersi al tavolo e risolvere i problemi. La prateria di voti è sempre lì, nel silenzio assordante delle sue richieste inascoltate. Rimbocchiamoci le maniche e andiamole incontro.
Associare riformismo e cambiamento
Gianmaria Radice, Italia Viva
Il Riformismo è associabile al cambiamento? Si perché per cambiare servono le riforme. Milano è la città del cambiamento, lo è sempre stata. La sua natura dinamica la rende tale. In un modo molto semplice che verrà ritenuta semplicistica da alcuni auguri del riformismo meneghino, vorrei affermare che attualmente ed in particolare in merito alla questione stadio di San Siro denoto una certa anti-dinamicità. Leggo in un appello firmato da esponenti riformisti “Nessuno, neanche le amate squadre Milan e Inter, può imporre unilateralmente interessi economici di parte in un quadro in cui ci sono, gli interessi dei cittadini del quartiere e quello generale di riportare l’urbanistica alla massima trasparenza ed efficacia ambientale e sociale.” Quando si ritengano gli atti di questa giunta come frutto di un’imposizione unilaterale di interessi economici terzi, si esprime di certo una opinione, ma non si riconosce in nessun modo un percorso che si è ispirato alla necessità di rendere la recente delibera la più vantaggiosa possibile per la città di Milano. Posso altresì dire che come Consigliere Comunale riformista non sono soddisfatto del percorso di condivisione dell’avanzamento del processo. Si tratta però di una contestazione metodologica e non di merito. Affermare che le società Inter e Milan abbiano imposto al Comune una visione sbilanciata solo sui loro interessi privati assomiglia pericolosamente alle posizioni di chi per altre ragioni non vuole il cambiamento ma coltiva disegni connessi a valori che poco hanno a che fare con Riformismo.
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