Money Road, l’evoluzione del reality show: non è l’Italia in provetta ma l’intera contemporaneità inoculata allo spettatore

Anche se per avere ambizioni da piccolo intellettuale bisognerebbe dire che la TV non la si guarda mai e che fa quasi sempre schifo, ad eccezione del discorso di Mattarella a Capodanno. Io lo ammetto: guardo la TV e non me ne vergogno. Il 14 settembre 2000 ero sul mio divano insieme a milioni di italiani, sintonizzato su Canale 5 per assistere alla prima edizione del Grande Fratello. Quel giorno si consumava una frattura, tra un prima e un dopo. La quotidianità, scarto comunicativo, diventava l’elemento centrale. Non lo potevo immaginare, ma era l’anticamera di un cambiamento epocale che avrebbe poi portato il singolo individuo, il suo vissuto, all’interno dell’arena. E l’arena a diventare sovrapponibile con il mondo. Dopo, lo chiamarono disintermediazione. Quella sera era uno spettacolo senza precedenti. La TV non sarebbe più stata la stessa.

Tv, l’arrivo di Money Road

Seguirono 25 anni di noia, di imitazioni e ripetizioni, fino a maggio di quest’anno. Quando è arrivato Money Road che ha fatto – nuovamente – da spartiacque tra un prima e un dopo. Anna Zucca, su Rolling Stone, definisce i partecipanti come un “campione di italianità in provetta che viene inoculato in un nuovo ambiente ostile e si muove, espandendo e mutando la propria forma. […] un ritratto in miniatura dell’Italia moderna, con tutto ciò che va e non va”. Riduttivo. Money Road non è l’Italia in provetta ma l’intera contemporaneità inoculata allo spettatore. Può vaccinarci, oppure farci ammalare in modo irreparabile. Infatti, Money Road non è l’evoluzione di un reality show, ma il suo straordinario superamento. Per i nostalgici, una stagione del Mondo di Quark dedicata ai temi più profondi dell’animo umano e della società.

La meccanica di Money Road

Il programma si presenta come un trekking nella giungla per dodici partecipanti con un montepremi di 300.000 euro da dividere in parti uguali alla fine. La meccanica è elementare: ogni “tentazione” accettata individualmente – un caffè, un letto, un prelievo al bancomat – erode il montepremi collettivo. Ma questa semplicità apparente nasconde un dispositivo di complessità straordinaria. Un dispositivo che interseca la teoria dei giochi, l’analisi del potere di Foucault e la fenomenologia del limite di Jaspers (i momenti estremi che rivelano chi siamo veramente). Money Road non è un reality show: è un esperimento di filosofia morale applicata. Ricorda gli esperimenti mentali di Derek Parfit sulla identità personale o le simulazioni di Robert Nozick sulla giustizia distributiva. Un tributo all’esperimento di Stanford del compianto Philip Zimbardo. E la sua naturale evoluzione: nessun ruolo imposto.

Money Road, il dilemma del prigioniero

Qui si può scegliere. E al mefistofelico Zimbardo, viene contrapposto un rassicurante e straordinario Fabio Caressa. Mentre il Grande Fratello si limitava a osservare comportamenti in un ambiente controllato – una versione pop del panopticon benthamiano, quella prigione circolare dove tutti possono essere osservati – Money Road costringe i partecipanti a negoziare continuamente tra l’io empirico e l’io trascendentale. Apparente scarsità, apparente libertà e concreta erosione morale sono i veri protagonisti dello show. La genialità del format sta nell’aver trasformato il dilemma del prigioniero di Albert Tucker da esperimento astratto a vissuto incarnato, superandone l’applicazione. Il dilemma classico prevede due prigionieri in celle separate che devono scegliere se tradirsi o cooperare. Fino a qualche anno fa, con il dilemma del prigioniero si poteva spiegare abbastanza bene la corsa agli armamenti. Oggi, per spiegare l’attuale geopolitica, serve aver visto e compreso Money Road. I partecipanti non sono in celle separate ma condividono apparentemente lo stesso piano simbolico, trasformando ogni scelta in una performance pubblica del sé morale. In altre parole, Tucker non riuscirebbe a spiegare Trump. Money Road, invece, sì.

Money Road, l’ambientazione simbolica della giungla

L’ambientazione nella giungla non è casuale. Richiama il “cuore di tenebra” conradiano, lo spazio liminale studiato da Victor Turner dove le strutture sociali si dissolvono e l’individuo affronta il proprio nucleo pre-sociale. Ma a differenza dei riti di passaggio tradizionali, qui non c’è trasformazione migliorativa garantita. L’esito è individuale e non sociale. In altre parole, possiamo uscirne peggio di come ne siamo entrati. Se mai riusciremo ad uscirne. Le “tentazioni” offerte – cibo, comfort, denaro – sono una scalata della piramide rovesciata di Maslow. Ogni cedimento diventa una cartografia del desiderio individuale. Una mappa di ciò che Pierre Bourdieu chiamava “habitus” – le disposizioni incorporate che guidano le nostre scelte apparentemente libere, come automatismi sociali che ci portiamo dentro.

Money Road, i partecipanti non comprano cose ma simboli

Ma c’è di più. Le tentazioni di Money Road incarnano perfettamente la teoria di Jean Baudrillard sul consumismo come sistema di segni. Il caffè nella giungla non è desiderato per dissetare ma per significare civilizzazione. Il letto non serve per riposare meglio ma per marcare la differenza con chi dorme per terra. Ogni oggetto diventa puro simulacro – una copia senza originale – del comfort perduto. I partecipanti non comprano cose ma simboli. Entrano in una spirale dove il valore d’uso scompare dietro il valore-segno, proprio come nella società dei consumi che Baudrillard descriveva. Come quando scegliamo una foto da postare su Instagram, solo per sostenere l’idea che chi ci segue ha di noi.

Money Road, compriamo l’idea che noi vogliamo avere e che vogliamo che gli altri abbiano di noi

In più questi segni diventano componenti della necessità di descriversi rispetto all’irrinunciabilità di uno di questi elementi. Creando un metalivello: la nostra unicità è data dalla irrinunciabilità dei nostri consumi. Quante volte, ormai, tutti noi ci descriviamo usando i consumi per noi irrinunciabili? I consumi hanno preso il posto dei costumi, degli aggettivi, dei valori e delle idee? Secondo molti è così. Compriamo l’idea e non il prodotto. Forse dobbiamo aggiornare questa teoria: compriamo solo l’idea di noi che vogliamo avere e che vogliamo che gli altri abbiano di noi.

Money Road, il ruolo della fiducia del gruppo

Ma poi arriva la realtà. Quando lo Spotify Wrapped rivela che hai ascoltato solo trash mentre raccontavi di amare e non poter rinunciare al jazz. Il personal branding è diventato life long. Money Road decostruisce l’illusione liberale dell’individuo razionale che massimizza la propria utilità. La dinamica del potere all’interno del gioco è straordinariamente moderna. Il programma rivela come il potere non sia qualcosa che si possiede ma che circola, nel senso foucaultiano. Ogni partecipante è simultaneamente soggetto e oggetto di potere, vittima e carnefice. Nel complesso mondo delle interazioni umane, la fiducia gioca un ruolo cruciale nella costruzione e nel sostegno delle relazioni. Il modello relazionale è più spiegabile con la teoria delle catastrofi di René Thom – dove piccoli cambiamenti producono effetti enormi e imprevedibili – che con modelli tradizionali. Esattamente come oggi in qualsiasi sistema relazionale moderno: dalla famiglia alla politica.

Money Road, come costruire il bene comune se il guadagno marginale individuale supera sempre quello collettivo?

Il programma rivela le condizioni in cui il modello sui beni comuni del premio Nobel Elinor Ostrom collassa e diventa inattuale. Ci restituisce la profetica attualità della “tragedia dei commons” di Garrett Hardin. Ostrom aveva dimostrato che le comunità possono gestire risorse condivise senza distruggerle; Hardin sosteneva invece che senza regole tutti sfruttano al massimo la risorsa comune fino a esaurirla. Money Road mostra il trionfo di Hardin e la necessità di revocare il Nobel a Ostrom per darlo a chi ha ideato Money Road o l’originale Tempting Fortune. La metafora politica è inevitabile. Money Road è la rappresentazione televisiva del dilemma del riformismo contemporaneo: come costruire il bene comune quando il guadagno marginale individuale supera sempre quello collettivo? Se era un esperimento, ha quantomeno confermato le “trappole della razionalità” di Jon Elster. Le società moderne sono intrappolate da comportamenti individualmente razionali che producono esiti collettivamente irrazionali. Money Road spiega perché non risolviamo problemi come il riscaldamento globale e lo fa con una metafora nuova.

Una metafora che porta in sé la critica di Carl Schmitt al liberalismo. L’impossibilità di fondare il politico sul consenso razionale quando il conflitto è costitutivo dell’umano. Ma senza suggerire la possibilità di una via d’uscita, tranne l’accettazione della propria vulnerabilità condivisa. Il famoso “velo d’ignoranza” di John Rawls viene squarciato in due punti: l’ambizione individuale rende impossibile non sapere il nostro ruolo sociale. Oggi, è ormai impossibile coniugare le libertà individuali con quelle altrui. Il programma mostra come il neoliberalismo abbia colonizzato non solo l’economia ma l’anima stessa. Ogni partecipante diventa imprenditore di sé stesso. È chiamato a gestire il proprio capitale umano e materiale in un mercato delle tentazioni dove il profitto individuale si scontra con la sostenibilità collettiva.

Le giustificazioni per le tentazioni per mantenere corente l’immagine di sé

Money Road rappresenta quello che il filosofo Byung-Chul Han chiama “psicopolitica” – il potere che non opprime ma seduce, che non vieta ma invita. Le tentazioni non sono imposizioni ma opportunità, non costrizioni ma libertà. Money Road realizza ciò che lo psicoanalista Christopher Bollas definisce “il conosciuto non pensato” – quelle parti di noi che agiamo senza riconoscere. Le giustificazioni che i partecipanti offrono per le proprie scelte non sono menzogne ma tentativi disperati di mantenere coerente l’immagine di sé. È quello che lo psicologo Leon Festinger identificava come riduzione della dissonanza cognitiva, che altrimenti ci farebbe esplodere o implodere. Se in questi mesi ti sei interrogato sull’assenza di coerenza di alcuni leader politici globali, vedere Money Road potrebbe darti più risposte di quante tu possa immaginare.

Money Road, il finale è lo stato d’eccezione

La vera genialità di Money Road sta nell’aver trasformato un meccanismo di intrattenimento in uno specchio della condizione postmoderna: frammentati, incoerenti, alla ricerca di una comunità impossibile. È la televisione che diventa pedagogia del limite umano. Il finale del programma non è solo un colpo di scena narrativo. È la dimostrazione empirica di ciò che il filosofo Giorgio Agamben chiama “stato di eccezione” – il momento in cui le regole vengono sospese e emerge la nuda vita nella sua brutalità.