Nino D’Angelo si trasferì, da Napoli a Roma, nel 1986. Aveva appena partecipato al suo primo Festival di Sanremo. Un tradimento alla sua città, per i detrattori. “Me ne sono andato perché hanno sparato due volte contro casa mia”. Camorra. “Volevano i soldi”. Il cantante lo ha raccontato in una lunga intervista a Il Corriere della Sera. Ricca di spunti, di aneddoti. D’Angelo ha 64 anni, nonno, quattro nipoti, un album in uscita a ottobre, nato e cresciuto e San Pietro a Patierno, quartiere nei pressi dell’aeroporto di Capodichino, dove gli abitanti gli hanno dedicato un murales disegnato e dipinto da Jorit Agoch.
Primo di sei figli, padre calzolaio e madre casalinga, esordio su 45 giri nel 1976 con ‘A storia mia. “È un poeta che non sa parlare”, disse la professoressa di italiano quando era ancora un bambino – e questo diventerà il titolo del nuovo disco: Il poeta che non sa parlare. L’incontro decisivo: il padre di Annamaria – che avrebbe sposato quando lei aveva solo 15 anni e lui 21, con la fuitina – lo scoprì a un festival amatoriale, lo portò a casa sua, convinse la famiglia a fare i debiti per il primo disco.
L’unica salvezza, dice, per realizzarsi è “incontrando la cultura. Quando non sai non ti puoi difendere. Io, grazie al talento, ho conosciuto persone che mi hanno insegnato, anche solo andandoci a cena”. Un milione di copie con Nu Jeans e ‘na maglietta, il film al sud incassò più di Flashdance: “La scrissi guardando Annamaria che puliva casa. Le ho detto subito: questa è la canzone della vita. Infatti ha risolto tutti i nostri problemi”.
E quindi la depressione dopo la morte della madre, quando si tagliò il caschetto, la paternità, Raffaele Viviani, la critica e le critiche, le idee chiare dall’inizio: “Prima Mario Merola diceva che ero il suo erede nella sceneggiata, ma io non volevo essere il numero due e le sceneggiate cantavano malavita, guappi e questo non mi piaceva. Mi sono inventato di parlare d’amore ai ragazzi. Solo che i critici musicali non sapevano dove mettermi: quando sono nati i neomelodici, che mi scopiazzavano, mi hanno fatto diventare neomelodico, ma io avevo già fatto 15 anni di successo”.
E quella rottura con Napoli – che gli ha dato tutto, dove per due volte ha fatto da direttore al Teatro Trianon a Forcella, e di cui dice di rappresentare “la periferia vera, quella dove nessuno passa: ci devi andare apposta. Ora ho trovato il quartiere come l’ho lasciato: uguale” – la minaccia della Camorra che lo portò a trasferirsi a Roma: “Vedevano il successo. Telefonavano, minacciavano. La seconda volta, hanno sparato dentro casa, il proiettile è entrato nella stanza dove mio figlio Vincenzo dormiva nel lettino. Siamo scappati in un giorno. Un peccato, perché devo tutto alla città, i napoletani mi adorano: piace che uno di loro ce l’ha fatta senza aiuti”.
