La pandemia costringe a cambiare modelli e stili di vita. Bisogna convivere con il virus e rispettare le norme di distanziamento sociale, il che induce a pensare che ben presto cambieranno gli orari dei trasporti, della scuola, dello sport e delle attività commerciali e lavorative, come il Riformista ha recentemente suggerito. Ma i napoletani sono pronti a stravolgere tutto? «La nostra è stata da sempre una città dalle molteplici stratificazioni – spiega Giustina Orientale Caputo, professoressa associata di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso l’università Federico II – È stata una città operaia, commerciale e di scambi, dalla grande concentrazione di servizi pubblici e privati e quindi di uffici destinati da sempre a operare in un’area più vasta dei confini comunali, un polo universitario e un centro caratterizzato dall’alta concentrazione di ospedali, a partire dal Cardarelli che è il più grande nel Mezzogiorno. Tutto questo per dire che alla sua domanda risponderei con un sì fortissimo».
Sono due i motivi all’origine di questa convinzione. «Il primo è che noi italiani, ma in particolare noi napoletani, abbiamo fatto dell’adattabilità, della capacità di rispondere continuamente a situazioni di emergenza, crisi, difficoltà e restrizioni, il nostro specifico modo di essere – continua Caputo – Certo, rigidi non possiamo proprio essere definiti. E il secondo motivo per cui direi di sì sta nel fatto che forse per noi non sarebbe nemmeno un cambiamento, ma un muoversi verso una soluzione che di fatto abbiamo sempre adottato anche quando non desiderata. I ritmi di lavoro e di riposo in una città come Napoli, dove il lavoro standard a tempo pieno regolare e contrattualizzato è sempre stato minoritario e ha sempre affiancato il lavoro nero e la disoccupazione, non sono mai stati quelli della città fordista. La nostra città vive a tutte le ore del giorno e della notte, dunque non avrà difficoltà ad accogliere, se meglio organizzati, tempi diversi di apertura delle diverse strutture».
La riorganizzazione dei trasporti è il nodo gordiano al quale Regione e Governo nazionale devono lavorare. «Quello della gestione dei trasporti è il tema caldo – aggiunge la professoressa Caputo – La mobilità è da sempre una delle piaghe di questa città. Abbiamo la metropolitana più bella del mondo, ma se passa ogni mezz’ora e con tre carrozze a che serve? Certo che dovranno cambiare. Dovranno essere pensati in concertazione con le trasformazioni dei tempi che si dovrebbero pensare per tutte le attività. La scuola, poi. Le scuole sono sembrate, in questo frangente, le istituzioni più capaci di adattarsi e progettarsi in funzioni delle nuove esigenze. Non ho difficoltà a credere che sarebbero le prime ad attuare piani di orari diversi. Il punto è che dovrebbe essere un discorso complessivo, capace di coinvolgere e coordinare tutti i soggetti coinvolti».
Rivedere gli orari di ingresso negli uffici e nelle scuole è al centro del dibattito tra le istituzioni. «Io credo che l’idea di sfalsare gli orari di inizio delle attività lavorative e commerciali sia pubbliche che private sia da sempre stata un’ottima idea – osserva Caputo – Ricordo che, in tempi ben lontani da questi della pandemia, si sono più volte tentati esperimenti in tal senso, ma purtroppo non nella nostra Napoli. Il loro obiettivo era ripensare complessivamente i tempi della città. È stato un tema molto caro agli urbanisti, ai sociologi, soprattutto alle donne che incontrano difficoltà nel conciliare impegni familiari e professionali vivibilità. Il tema è strategico perché ha pesanti ricadute in termini di traffico e di vivibilità. L’attuale organizzazione è ancora legata a una struttura del lavoro e dei ritmi di vita nata e pensata in epoca fordista, cioè in un’epoca che oggi non esiste più, in cui il sincronismo sociale dei tempi era dettato dalla organizzazione lavorativa prevalente, cioè dal lavoro in fabbrica. Oggi, men che meno nella città di Napoli – conclude Caputo – questa organizzazione non ha alcun senso».
