Il film “Oppenheimer” è arrivato nelle sale italiane ed avrà successo perché è ottimo cinema con ottimi attori e una sceneggiatura emozionante. Purtroppo, a nostro parere, il film ha un limite che pochi possono percepire, per una questione di contesto: quando e con quali conseguenze i fatti sia militari che emotivi accaddero. Il film è stato interamente concepito da persone nate molto dopo la bomba. Chi era bambino ai tempi delle prima atomiche e non solo di Hiroshima resta marchiato a fuoco dal terrore di una morte possibile senza preavviso lasciando degli esseri non più viventi un’impronta sul suolo. Ma il contesto è quello di un film in cui si finge che il fisico americano dottor Oppenheimer abbia costruito una bomba mostruosa di cui fu ideatore e realizzatore. Il che è solo in parte è vero perché nei primi Quaranta tutti gli Istituti di fisica cercavano di spaccare l’atomo per farne una bomba, nazisti e giapponesi compresi.
Chi sarebbe arrivato primo avrebbe vinto, senza alcuno scrupolo. Robert Oppenheimer realizzò Il Progetto Manhattan con i più grandi fisici del mondo, fra cui l’italiano Enrico Fermi, che aveva salvato la moglie ebrea negli Stati Uniti.
Il film punta sulla scena in cui si ammette che nessuno sa prevedere gli effetti della bomba sperimentale in New Mexico. Ma poi lo si vide, e il costo apparve accettabile: il Giappone aggressore resisteva in modo e nelle battaglie di Okinawa, Guadalcanal, Guam, Midway, Saipam, Iwo Jima, morivano più di centomila uomini per volta e i primi bombardamenti convenzionali su Tokyo fecero più morti di quelli di Hiroshima e Nagasaki. Per ottenere la resa del Giappone sarebbe stato necessario sacrificare almeno seicentomila americani.
Furono questi numeri a convincere il nuovo presidente Henry Truman a dire sì. Ma ciò che emerge dallo spettacolare film di Christopher Nolan che fa di Oppenheimer il padre stregone della diabolica arma che era sognata dagli inglesi che difendevano le miniere di acqua pesante cui miravano gli scienziati di Hitler mentre i sovietici tallonavano americani: Stalin non si impressionò affatto quando gli dissero di Hiroshima, ed è vero che Einstein come Oppenheimer si posero problemi etici sui limiti dell’uso delle armi, mentre emergeva la rivoluzione dell’energia nucleare. Il contesto della guerra, il calcolo dei milioni di morti, l’impatto emotivo e i dubbi di coscienza ebbero uno spessore e una lunga serie di conseguenze sul pensiero occidentale, sulle arti e la letteratura occidentale, estesa molto fecondamente al Giappone, ma non molto oltre.
L’America raramente riesce a raccontare sé stessa se non come protagonista assoluta ed è ciò che accade anche in questo capolavoro dell’arte cinematografica, ma con la civetteria di esserlo specialmente nel male, impossessandosi di una colpa che, se è colpa, è di tutti. La conseguenza buona di quella bomba mostruosa fu l’equilibrio del terrore che ha preservato l’umanità dalle grandi catastrofi mondiali di cui si vede l’ultima orribile creatura: la guerra Russia contro Ucraina, con protagonisti nati vent’anni dopo la bomba come il superfalco Dmitrij Anatolevic Medvedev (che si comporta come il dottor Stranamore del film di Kubrik) e lo stesso Vladimir Putin: due uomini moderni in giacca sartoriale e cravatta, che minacciano l’uso di bombe nucleari: ora all’“Isola” (come i russi chiamano la Gran Bretagna) ora alla odiata Polonia e poi all’Europa intera.
Il film ha un pregio in più nel suo effetto collaterale: stimolare le coscienze rispetto ai due diversi contesti attraverso la storia di Oppenheimer: quello del 1945 e quello di oggi, mentre fronteggiamo la catastrofe attuale che ci minaccia non per colpa di quegli antichi scienziati di ottanta anni fa che, senza saperlo e insieme a Oppenheimer, crearono l’equilibrio del terrore, cui tre generazioni devono la vita.
