Un summit Trump-Putin a Budapest sarebbe la realizzazione di tutto ciò che l’Europa non vuole. Una soluzione imposta all’Ucraina. Senza che questa possa dire qualcosa. E tanto meno l’Ue. Il riconoscimento del più tenace oppositore interno all’Unione, Viktor Orbán, quale mediatore di un conflitto che si combatte da quattro anni, proprio nel cuore d’Europa. Infine, l’ingresso su suolo europeo di Vladimir Putin, contro il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto. «È per questo che mi vergogno», commenta Júlia Vásárhelyi, giornalista ungherese e oppositrice del leader magiaro. «L’incontro sarebbe la conferma di come tutti e tre stanno dalla stessa parte. Una piena vittoria per il governo di Budapest».

Il legame Orbán-Trump-Putin è noto. «Solo le istituzioni europee non vogliono accettarlo», commenta Federigo Argentieri, direttore del Guarini Institute ed esperto di questioni ungheresi. «Bisogna risalire alla fine dell’epoca sovietica, quando corruzione e operazioni di intelligence si intrecciavano oltre cortina. Oggi è tutto alla luce del sole. La stampa locale ne ha scritto più volte. Orbán non ha mai smentito nulla». D’altra parte, se è noto lo scarso amore del premier magiaro verso i principi liberal-democratici, delle sue origini politiche si parla di meno. «Non c’è solo un Orbán nemico dell’Ue – ricorda Argentieri – ma anche uno che ha permesso all’Ungheria di entrarvi e così anche nella Nato». Questo avvocato 62enne, figlio della borghesia rurale e di fede calvinista, muove i primi passi nella dissidenza al regime comunista. Fondatore dell’Alleanza dei giovani democratici, Fidesz appunto, Viktor Orbán è di formazione liberale e progressista. Si impegna per il rispetto dei diritti civili e per un’Ungheria che guardi a ovest. Si fa anche finanziare una borsa di studio dalla Fondazione Soros per andare a studiare a Oxford. Salvo poi rinnegare il suo mentore.

All’improvviso arriva il gran rifiuto. A metà anni Novanta, questa giovane promessa lib-dem dell’Europa orientale segue i consigli dell’allora premier Jòzsef Antàl. «È lui a indirizzarlo dalla parte opposta. In una direzione, quella sovranista, di cui Orbán oggi è riconosciuto come apripista». Finito senza infamia e senza lode il suo primo governo (1998-2002), vive otto anni all’opposizione. Lascia che la sinistra si scavi la fossa da sola. Nel 2010 Fidesz incassa il 49,3% dei consensi. Ma è l’anno prima a segnare il cambiamento. Il leader ungherese partecipa al congresso di Russia Unita a San Pietroburgo. Lì incontra Putin. «Fino a quel momento, Orbán non si poteva certo dire un alleato di Mosca». Argentieri ricorda la condanna di Budapest dell’invasione russa della Georgia l’anno prima. «Sulle rive della Neva si ha il “kompromat”, il materiale compromettente. Le casse di Fidesz accolgono una grossa donazione da parte di un oligarca russo. Da allora il Cremlino è sempre stato certo che Budapest non lo avrebbe mai abbandonato». E così sarà anche se Putin dovesse atterrare in Ungheria. «Cosa che non potrebbe fare». Vásárhelyi sottolinea che il Paese ha sì sospeso la sua partecipazione alla Corte penale internazionale. «Ma questo non significa esserne uscita del tutto. I suoi principi e regolamenti andrebbero comunque rispettati».

Dove Orbán è più abile è nelle zone d’ombra. Lo si vede come giochi al gatto e il topo con l’Europa. «Le minacce di veto a Bruxelles si risolvono spesso in un nulla di fatto proprio grazie alle risorse che rendono Budapest più docile», spiega Argentieri. L’Ungheria è uno dei principali beneficiari dei flussi finanziari da Bruxelles. Tra il dicembre 2022 e maggio 2025, la Commissione Europea ha erogato circa 9,5 miliardi di euro all’Ungheria sotto forma di fondi Ue. Dal 2004 al 2023, il Paese ha ricevuto in totale circa 67,8 miliardi di euro di fondi comunitari. Una somma che equivale a circa il 26% del Pil. Oggi circa 18 miliardi sono sospesi a causa della fragilità dello Stato di diritto nel Paese. Ma quanto importa a Budapest non avere questi miliardi quando, in compenso, rappresenta un hub commerciale – e non solo – per gli interessi di Russia e Cina nel cuore dell’Europa? Orbán è una quinta colonna russa e cinese nel nostro continente e oggi, se il summit si dovesse fare, comparirebbe come il mediatore in nome di tutta l’Unione. «Se fosse sincero. Ma così non è».

Il tornaconto del leader ungherese sarebbe quello di partecipare al banchetto ucraino. Da sempre Budapest rivendica le terre della Rutenia subcarpatica, al tempo sotto il controllo del Regno d’Ungheria, oggi abitate da una minoranza magiara sotto giurisdizione di Kyiv. Un accordo Trump-Putin, sarebbe per Orbán il ticket per reclamarle. Un incasso dal valore inestimabile sul piano interno. E così chiudere per altri quattro anni il discorso sulla sua successione. «L’anno prossimo andremo al voto», ricorda Vásárhelyi. «Péter Magyar e tutti gli altri sono simili per metodo e posizionamento politico all’Orbán originale. Quindi non mi fido».