Chi è la grande assente nella lista dei ringraziamenti che Trump ha fatto su Truth all’ufficializzazione della liberazione degli ostaggi da parte di Hamas e che, di fatto, ha dato il via al suo piano di pace? Per un candidato al Nobel, omettere qualcuno dal riconoscimento speso in queste trattative può significare giocarsi il premio.

D’altra parte, anche a forzare la mano, è difficile dire che l’Unione europea abbia fatto qualcosa in queste trattative. Le parole di approvazione di Ursula von der Leyen e della sua “ministra degli Esteri”, Kaja Kallas, giunte ieri in coda alle notizie del rilascio degli ostaggi, non risultano soltanto tardive ma ininfluenti nella trattativa ancora in corso. E qui non c’è malafede che tenga. Non regge il retropensiero per cui Trump ci avrebbe tagliati fuori, o che Netanyahu non volesse parlare con chi, inopportunamente, ha pensato che fosse utile riconoscere lo Stato palestinese. Nel rush finale, chiunque possa contribuire al successo di un negoziato è ben accolto.

Il problema è che Bruxelles non ha mai avuto una sua proposta di pace e nemmeno è riuscita ad accordarsi su quelle che erano sul tavolo. Né al piano Trump, né alle velleitarie azioni di apertura fatte da Macron, con al seguito Starmer. Per non far torto a nessuno dei suoi Stati membri, Bruxelles non ha sostenuto nessuna delle due strade. Ed è così rimasta a bocca asciutta. Che peccato! L’Unione europea ha nel Mediterraneo una presenza storica e un interesse strategico, confermati da un commissario con delega, la croata Dubravka Šuica, e ben otto Stati membri bagnati dalle acque del Mare nostrum. Con questo pedigree, fin dall’orrendo 7 ottobre 2023 avrebbe potuto dire: “Questa faccenda la gestiamo noi. Seguiteci!”.

Così suona come una tragicomica coincidenza il fatto che proprio ieri a Strasburgo la commissione Ue sia stata il bersaglio di una manovra a tenaglia. L’Europarlamento ha votato due mozioni di sfiducia. Una presentata da The Left, proprio sull’inazione dell’Ue a Gaza – che tempismo, compagni! – e sulla debolezza delle politiche green; l’altra dai Patrioti contro l’accordo commerciale con il Mercosur. Entrambi francesi i primi firmatari: Manon Aubry di La France Insoumise e Jordan Bardella del Rassemblement National. La crisi di un Paese fondatore fa tremare l’intero architrave Ue.

D’accordo, Strasburgo ha respinto i due attacchi, con 378 voti contrari quello da destra e 383 da sinistra. Ma viene da chiedersi quanto ancora potrà resistere la Commissione. Dopo aver alzato le barricate a luglio scorso, ieri l’assalto è stato meno violento, ma più insidioso. I radicali di sinistra e destra si sono alleati. Indicative, su questo, le parole del leghista Vannacci: «Voterò contro von der Leyen anche se la mozione la presentassero i vampiri o i lupi mannari». Mentre la maggioranza di popolari, socialisti e liberali ha raggiunto un compromesso soltanto mercoledì sera.

Per intenderci, quando a Sharm si delineavano le sorti del nuovo Medio Oriente – almeno questo è l’auspicio – a Bruxelles si decideva quale terapia seguire per prolungare l’agonia dell’esecutivo comunitario. I socialisti infatti hanno già messo sul tavolo un altro ultimatum. L’europarlamentare tedesco, René Repasi, ha detto che “se tra sei mesi non vedremo che nessuna delle nostre priorità è stata attuata, potrebbe essere il momento di agire”. L’S&D vuole attuare un piano con al centro il contrasto al climate change. Ma il Ppe ha cambiato idea. La nuova direzione tracciata da Weber prevede che si consolidi l’alleanza con i conservatori. Molto più affidabili oggi rispetto ai socialisti. Quanto anche ad alcune fazioni degli stessi popolari. Tant’è che ieri l’Ecr ha concesso ai suoi libertà di voto. Mentre alcuni dei popolari hanno votato sì. Ancora una volta è Parigi la colpevole. Stando ai tabulati dei voti, i quattro repubblicani francesi avrebbero dato con i Patrioti l’ok alla sfiducia.

Morale della storia: quel centro su cui si erano trovati socialisti e popolari per creare la maggioranza Ursula lo scorso anno è diventato preda delle fasce più radicali. Il trasformismo utile a Ursula von den Leyen per sopravvivere è sempre meno efficace. Non venite a dirci poi che così l’Ue resta protagonista nel mondo.