Paolo Mieli ha rotto il silenzio su Palamara, ma il Corriere è sempre stato succube della magistratura

Caro Direttore,
ho molto apprezzato il tuo articolo “Magistratura da buttare: lo vede anche Mieli”, articolo ove tu ti dichiari lieto e sorpreso che sul Corriere della Sera si sia finalmente “rotto il silenzio su magistropoli” e che Paolo Mieli abbia scritto un articolo sulle vicende del caso Palamara che nella sostanza è “una frustata in faccia alla magistratura e al suo sistema di potere”.  Non so se le intenzioni di Mieli fossero così drastiche ma è comunque vero che le reticenze del Corriere sulla corporazione dei magistrati e la sua accortezza nell’evitare di pestarle i piedi non riguarda solo il caso Palamara ma è nel dna di quel giornale. Lo dico non solo come lettore quotidiano del Corriere ma anche per esperienza personale. Ricordo solo due episodi che inducono a qualche riflessione.

Il primo. Nel lontano 1986 scrissi quattro articoli molto critici sul Csm e l’Associazione nazionale magistrati e li mandai al direttore del Corriere della Sera, Piero Ostellino. Erano quattro articoli conclusi ma strettamente collegati tra di loro, ragion per cui al termine dei primi tre articoli avevo scritto: “continua”. Ostellino li pubblicò subito, il 4, 5, 6 e 7 marzo 1986, come editoriali di spalla. Pubblicò anche la indicazione “continua” alla fine dei primi tre articoli. Non solo, Ostellino mi telefonò per complimentarsi e mi disse che avrebbe desiderato conoscermi di persona. Una decina di giorni dopo, trovandomi a Milano per le mie ricerche sulla giustizia, gli telefonai e mi ricevette subito. Tra le altre cose Ostellino mi disse che la Procura della Repubblica di Milano aveva comunicato al suo cronista giudiziario, Paolo Graldi, che una ulteriore pubblicazione di miei scritti sul Corriere avrebbe fatto venir meno il flusso di informazioni che la Procura gli forniva per i suoi articoli. Ostellino non mi disse certo che non avrebbe più pubblicato i miei articoli. Non ce n’era bisogno. Terminò così la mia esperienza di editorialista del Corriere.

Il secondo. Alcuni anni dopo, nel periodo di Tangentopoli scoprii che uno degli editorialisti del Corriere, di cui per ovvie ragioni non faccio il nome, nutriva le mie stesse preoccupazioni per le gravi violazioni dei diritti civili che si stavano verificando ad opera della Procura di Milano. Si trattava certo di informazioni meritevoli di essere comunicate ai lettori di quel giornale. Gli chiesi perché non avesse scritto niente a riguardo. Mi rispose che non poteva. Avrebbe pregiudicato il suo rapporto di collaborazione col giornale. Mentre è vero che dopo il 1986 io non ho più scritto sul Corriere è altrettanto vero che più volte giornalisti del Corriere si sono rivolti a me per avere informazioni e dati delle mie continue ricerche sulla giustizia sul piano nazionale ed internazionale.

Verso la fine del 2003 quando ero componente del Csm, un noto giornalista del Corriere, Gian Antonio Stella, utilizzò in un suo articolo i miei dati sulle molteplici attività extragiudiziarie dei magistrati, un problema di cui mi ero occupato ricorrentemente da molti anni segnalando la sua incompatibilità con l’indipendenza della magistratura e col corretto funzionamento della divisione dei poteri. Fino ad allora i miei scritti a riguardo non avevano mai suscitato un interesse pubblico, ma solo l’irritazione dell’Anm. L’importanza del giornale che li pubblicava e la notorietà dell’editorialista sollevarono un interesse pubblico che le mie varie pubblicazioni in materia non avevano mai avuto.

Venne organizzato un convegno a Roma (dall’Associazione giovani avvocati) sulle attività extragiudiziarie dei magistrati e venne invitato a parlare anche Stella che, col suo articolo, aveva suscitato il pubblico interesse sull’argomento. Al dibattito parteciparono nomi di rilievo dell’avvocatura e della magistratura e tra essi anche lo stesso presidente dell’Anm, Bruti Liberati. L’evento non generò certo nessuna riforma ed il problema permane a tutt’oggi. Fu comunque una chiara indicazione di quanto interesse per le riforme potrebbe suscitare un importante giornale quale il Corriere se decidesse di dedicare con continuità più attenzione alle disfunzioni che derivano da un assetto giudiziario come il nostro ove un’indipendenza di stampo marcatamente corporativo prevale su quelle forme di responsabilità che caratterizzano le magistrature degli altri Paesi a consolidata democrazia. Credo fosse questo il messaggio che tu volevi trasmettere nell’articolo in cui rendi merito a Mieli per aver interrotto il silenzio del Corriere su “magistropoli”, ed è anche la ragione per cui ho appezzato il tuo scritto.

Una postilla sul convegno che seguì la pubblicazione dell’articolo di Stella nel dicembre 2003. Nel suo intervento l’allora Presidente dell’Anm ed autorevole esponente di Magistratura democratica Bruti Liberati, rimproverò, tra l’altro, a Stella di aver erroneamente scritto che io, oltre ad essere componente del Csm, ero anche direttore dell’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr. Era cosa che lui da tempo sapeva benissimo essere vera, ma nelle sue intenzioni quello era il modo per sollevare pubblicamente il problema della mia presunta incompatibilità a ricoprire il ruolo di consigliere del Csm ed ottenere la mia espulsione. Efficienza operativa e disciplina sono una caratteristica della dirigenza di Magistratura democratica. Infatti, senza alcun ritardo, la mattina dopo il componente togato del Csm Giuseppe Salmè esponente di quella corrente, che non aveva partecipato al convegno e che da tempo conosceva il mio doppio ruolo, mi fece sapere che avrebbe formalmente chiesto che la commissione per la verifica dei titoli proponesse all’assemblea del Csm la mia espulsione per incompatibilità in base alle norme vigenti.

In commissione l’iniziativa del consigliere Salmè non incontrò i favori della maggioranza della commissione proponente perché le altre correnti non ritenevano conveniente promuovere la mia espulsione. Non era quindi questione da decidere nel merito in base al diritto, era sufficiente non decidere. Due riflessioni su questo episodio. Esso indica ancora una volta come il Consiglio costituisca “il braccio armato” dell’Anm e delle sue correnti, un braccio armato che è pienamente efficace se le correnti sono tutte d’accordo. La seconda è che di fatto io, per ironia della sorte, sono stato beneficiato dal sistema delle correnti: se tutte le correnti avessero ritenuto conveniente la mia espulsione, diritto o no, sarei stato espulso.