Parla Marco Benvenuti, fondatore di Duetto: “La rivoluzione è già con noi. L’Italia si attrezzi per l’IA”

Incontro Marco Benvenuti in un ristorante alla periferia di Las Vegas: “Lascia lo Strip e raggiungimi qui, ti faccio vedere una città un po’ diversa”. Ed in effetti Summerlin, periferia “bene” di Las Vegas, sembra molto più distante dal cuore pulsante della città di quanto non lo sia in realtà: è tranquilla, calma, silenziosa, palesemente opulenta ma senza ostentazione. Non vedo Marco da una ventina d’anni: allora guidavo una azienda digitale a Pisa e lui, livornese di nascita, figlio di un Sindaco comunista della città diventato poi senatore del Pds, era già direttore delle strategie commerciali di un grande complesso alberghiero a cinque stelle a Las Vegas, il Wynn. Poco dopo, apre Duetto, una startup innovativa per il booking alberghiero che oggi conta oltre un centinaio di dipendenti e fattura ben 50 milioni di dollari: niente male. Ora di Duetto è “solo” membro del consiglio di amministrazione e si dedica ad altro.

Marco, come sei capitato a Las Vegas?
«Un po’ per caso. Iniziai Scienze Politiche a Pisa ma il mio sogno era sempre quello di andare in USA dove avevo passato un paio di estati insieme ai miei genitori ed un paio da solo. Capitò Las Vegas perché semplicemente rientrava nel budget e la scuola (la UNLV) aveva grandi tradizioni di basket: se sei cresciuto a Livorno negli anni ’80, sei una persona di basket. Anche l’hospitality management capitò per caso, perché io non avevo una idea di cosa fare. A Livorno partirono subito gli sfottò, ai miei genitori veniva chiesto: “Perché hai mandato il bimbo fin laggiù per fare l’istituto alberghiero?”. Poi ingranai la marcia».

Quanto questo ambiente ti ha cambiato rispetto a quello in cui sei nato e sei cresciuto? Quanta competizione? Quanta libertà di fare?
«L’università in Italia non faceva per me, Pisa era creata per far smettere di studiare. Invece alla UNLV le cose erano diverse. Tutto era improntato a motivarmi e ad avere successo negli studi. Poi c’era subito il collegamento col mondo del lavoro ed infatti feci prestissimo un internship col Four Seasons di Las Vegas. La competizione non era accentuata come ci si può aspettare dopo essere cresciuti guardando Beverly Hills e Melrose Place, ma invece veniva molto premiata la creatività e il pensare fuori dagli schemi (cosa che ben si addice alla mia personalità e alle mie capacità intellettuali)».

Parliamo del tuo lavoro e cioè di turismo. L’Italia è solo una enorme potenzialità solo parzialmente espressa?
«L’Italia dovrebbe essere il primo paese al mondo per turismo (cosa banale che dicono tutti ma cosa molto vera): abbiamo tutto il mare, lo sci, la nightlife, l’arte, la gastronomia etc. Da una parte mancano ricettività e infrastrutture e dall’altra manca il “know how” a livello manageriale. In Italia abbiamo inventato l’hospitality e sappiamo per esempio come trattare il cliente, come creare ambienti unici e come andare al di là delle aspettative (come dicono qui: above and beyond). A livello manageriale invece abbiamo grandi carenze dovute alla totale mancanza di formazione di una vera classe dirigente del turismo che invece esiste in altri paesi europei come ad esempio in Spagna».

Ci manca quindi anche la formazione delle persone? Su cosa in particolare?
«Manca la formazione in entrepreneurship, marketing (soprattutto digital) e strategy: cose che certamente si possono imparare alla Bocconi, ma il settore del turismo è molto particolare e infatti nel resto del mondo hanno creato università ad hoc per formare la managerialità di questo settore. Io ad esempio dopo UNLV ho fatto un MBA in hospitality management a Cornell, un vero a proprio MBA di due anni. In Italia c’è l’alberghiero e poco altro: ma in un mondo iperconnesso e digitale questa professione non è più solo saper apparecchiare tavola… Serve altro, servono professionalità specifiche e serve formarle, anche per cambiare la mentalità dei piccoli-medi imprenditori del settore».

Come ci vedi rispetto agli altri competitor europei e mondiali?
«Il tallone di Achille è la classe manageriale e imprenditoriale: se per esempio guardiamo alle catene alberghiere più grandi del mondo, insieme a Marriott, Hyatt etc. ci sono le Europee Accor, Melia e NH. Nessuna di questa è italiana… Chiediamoci il perché».

Ed ora sta arrivando, dopo la rivoluzione digitale, quella legata all’intelligenza artificiale…
«Esattamente. Tutti hanno paura che vengano decimati front desk, personale delle relazioni esterne, personale di pulizia sostituito da robot che puliranno le camere. Fanno bene ad avere paura perché tutto questo arriverà ed arriverà prima di quanto noi tutti pensiamo. Vai su ChatGPT e con l’uso di qualche plugin tipo quello di Kayak prova ad organizzare un viaggio a tema, ad esempio cinque giorni alla ricerca dei migliori vini bianchi nel Triveneto. Fai a ChatGPT ogni richiesta più dettagliata possibile: la rivoluzione non è dietro l’angolo, è già con noi. L’industria del turismo sarà travolta da questo tsunami: e se in Italia siamo già indietro rispetto alla prima rivoluzione del settore che è stata quella del digitale, figurarsi a quella legata all’intelligenza artificiale. Sarà una rivoluzione che toccherà sia la qualità che i costi del servizio e non c’è scusa che tenga, perché il tocco italiano si potrà comunque mantenere, grazie alle capacità che abbiamo: in tanti quindi perderanno il treno. Ed anche qui, o l’Italia si attrezza o perderà posizioni nel panorama del turismo mondiale. Serve muoversi con efficienza ed efficacia subito, già da domani».

Ora ti stai dedicando ad altro: pensi a te stesso e hai acquistato una squadra di hockey giovanile qui a Las Vegas. Perché questa scelta?
«Io sono un uomo di data analytics quindi uso dati storici per cercare di prevedere il futuro. Babbo se ne è andato a 65 anni e mamma a 69, quindi non credo di avere davanti a me una vita lunghissima. Partendo da questo presupposto voglio godermi più che posso il tempo che mi rimane e non consumare la mia vita cercando di fare soldi. A casa Benvenuti siamo sempre stati gente innamorata dello sport e con l’hockey è stato un colpo di fulmine a prima vista infatti ho anche imparato a giocare (con scarsi risultati). Con altri due amici abbiamo deciso di comprare una squadra di junior hockey, i Las Vegas Thunderbirds: investiamo sul futuro e sullo sport, la mia parte nel turismo l’ho già fatta».