A difesa di Elly Schlein, che per acclamazione ha fatto eleggere vice capogruppo Paolo Ciani, l’unico parlamentare del gruppo Pd che ha votato contro il sostengo all’Ucraina, arriva Rosy Bindi: “Chi rivendica l’identità cattolica dovrebbe rivendicare in maniera più onesta quella post democristiana e chiarirsi sulle polemiche che si sono aperte in maniera pretestuosa. Questa” di Ciani “è una scelta che considero legittima e anche nel merito opportuna”.
Finalmente un vuoto nuovo nel Pd, che potrà far recuperare un sacco di voti: Rosy Bindi. Paladina dei diritti civili rivendicati da Elly Schlein. Eppure tutto questo pluralismo e apertura del partito ai non iscritti, Bindi non li difendeva quando, nel 2011, i radicali che erano stati eletti nelle liste Pd (senza mai avere ruoli nel gruppo) votarono contro l’arresto di Nicola Cosentino, e Bindi furiosa in aula urlò: “quegli stronzi dei radicali”. E proprio all’archivio di un radicale faremo riferimento per ricordarci chi era Rosy Bindi. Siamo andati a rileggere alcune cose scritte e dette dal maestro Massimo Bordin, storico direttore di Radio Radicale, scomparso da qualche anno e che tanto ci manca. Negli ultimi anni l’ex presidente Pd era frequente tra le citazioni della rassegna stampa mattutina di Bordin, poiché era stata nominata presidente della commissione antimafia, argomento tra i preferiti del direttore, maestro di garantismo, e tra i più grandi cronisti di processi di mafia.
Tutto partì dalle elezioni del 2013, quando la toscanissima Bindi si candidò in Calabria, e Bordin raccontò: “In Calabria, dove era candidata per la prima volta, le è stato chiesto anche di occuparsi di ndrangheta ma la candidata risposte che, a parte alcune osservazioni di carattere generale, preferiva demandare ad altri questo ruolo perché lei di questi temi non sapeva nulla. Naturalmente una così cosa viene fatta poi? Presidente dell’antimafia”.
Da quella postazione Bindi diede il meglio di sé, inventandosi il famoso codice antimafia, che prevedeva tra l’altro una vera e propria lista di proscrizione con la quale Bindi elencava chi era degno o meno di candidarsi al parlamento. Al ché Bordin commentò: “Sopprimiamo le elezioni, facciamo fare le liste alle procure e poi Rosi Bindi proclama gli eletti”. Oltre a sentire l’odore di mafia ovunque, persino tra le squadre di calcio, Bindi arrivò a proporre persino che la massoneria pubblicasse per legge tutti i suoi iscritti.
“Una ayatollah donna” la chiamava Bordin. Quando nacque il governo Letta, Rosy Bindi in pieno Transatlantico minacciò: “Se si fa l’inciucio io mi dimetto da Presidente del partito” – “Non è detto che sia una minaccia insomma” commentò il nostro.
Poi ovviamente votò la fiducia al governo, sia a quello Letta che a quello Renzi, pur rivendicando di aver votato contro molte delle leggi riformiste di Renzi. Ma lasciò la tessera Pd solo a fine legislatura, altrimenti avrebbe perso la presidenza della commissione. A un certo punto nell’elenco di quelli che lei chiamava “impresentabili” ci finì Enzo De Luca, che da indagato era appena stato eletto presidente della Campania. Ma per Bindi, prima di qualunque sentenza, non era degno, e meritava quantomeno di essere espulso dal Pd. E anche nel far fuori De Luca, Bindi e Schlein sono d’accordo. Ma il governatore, sempre assolto da tutti i processi, sentendosi paragonato a un mafioso proprio da una compagna di partito, la querelò per diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d’ufficio: “In ogni paese civile i governanti vengono scelti dai cittadini con un voto democratico- disse il governatore- siamo di fronte a un aborto di diritto”.
Il commento di Bordin fu: “Rosy Bindi sta diventando la Vichinsky del Pd. in effetti pure Stalin studiò in seminario”. Schlein invece ha fatto le scuole pubbliche, in Svizzera.
