Piazza Mercato deserta all’Epifania, il virus contagia anche la Befana

Piazza Mercato sonnecchia, tutto intorno tace, il grande piazzale è deserto, le bancarelle colorate piene di dolciumi e regalini sembrano svanite nel nulla. Napoli dorme, sembra essere caduta in un sonno profondo, come se una maledizione l’avesse colpita e un incantesimo l’avesse addormentata. Tutto è sospeso. La Befana sembra essersi persa nella notte appena trascorsa e la magia sembra essere volata insieme con lei, altrove, lontano.

È un’epifania strana quella appena trascorsa, non sembra la nostra. È dalla notte dei tempi che Piazza Mercato nelle ore che precedono l’alba del 6 gennaio si riempie di gente, di urla, di calze colorate, di juta, di lana, di cotone con fantasie scozzesi, non c’è un posto per parcheggiare la macchina, in compenso c’è una confusione e un’allegria che travolgono, non lasciano scampo. La notte della Befana avvolge la città con un alone di magia e meraviglia, chi non vive qui non può capire che questa notte significa molto per la città e per i bimbi di ogni quartiere. E, sì, ora si rischia di scivolare nell’odiosa retorica di chi dice che solo i napoletani possono capire, perché siamo un popolo a parte, che niente ha a che vedere con il resto d’Italia. Tornano in mente le parole di Sophia Loren quando disse “io non sono italiana, io sono napoletana. Che è un’altra cosa”.

E quindi, correndo il rischio di scivolare e atterrare su un terreno fatto di campanilismo, di sentimentalismo, di un senso di appartenenza nauseante, diciamo pure che la verità è questa: essere napoletani è un’altra cosa e qui la befana è una ricorrenza sentita. Molto. Solitamente è così, l’altra notte no però. Piazza Mercato era deserta, le lucine che solitamente illuminavano la grande piazza, cuore pulsante della città, sono rimaste aggrovigliate nei cartoni dove si conservano le decorazioni natalizie, bancarelle e tavoli di fortuna dove solitamente si esponevano dolci e cioccolata di ogni genere sono rimasti chiusi negli sgabuzzini. Niente musica, niente urla, niente allegria, niente mamme in giro fino a tarda notte per riempire di mille leccornie le calze dei più piccoli. Al loro posto due volanti della polizia municipale a controllare che le regole venissero rispettate: niente assembramenti, niente folla, niente festa, quest’anno niente Befana. E il motivo lo conosciamo, colpa del virus e dei contagi. E per carità, la salute prima di tutto, ed è giusto che sia così, è giusto non rischiare un aumento dei casi per la notte della befana.

Ma abbiamo ancora il diritto di essere tristi? Di essere pervasi da una malinconia che preme sul petto? Sì. Abbiamo ancora il diritto di essere stanchi, di dire che ci siamo scocciati. Abbiamo ancora il sacrosanto diritto di sentirci smarriti di fronte a una notte che non ci appartiene più, e di fronte alla paura e alla consapevolezza di quanto i nostri colori stiano sbiadendo man mano che perdiamo anche le tradizioni. Ma passerà. Addà passa a nuttat. Nel frattempo, lasciateci liberi di essere tristi.