Non solo siamo in ritardo con il Pnrr, ma anche con la sua revisione. E il problema, oltre che tecnico, è politico. E oggi nasce all’interno del Governo. È vero che nel Piano da 191 miliardi di euro i precedenti governi hanno consentito centinaia di progetti che servono più a distribuire mance che a far rinascere il Paese. E gli esempi degli stadi di Firenze e Venezia, che l’Europa ci ha stralciato (non senza che prima il Ministro Fitto avesse aperto la trattativa per provarli a tenere), sono solo i più grandi che era impossibile nascondere, ma nel piano ci sono piste da sci sintetico, campi da briscola, da padel, piazze e piazzette, e milioni e milioni per ciclovie già oggi abbandonate.
Il Ministro per gli Affari europei tenta una revisione della spesa, che si è fissato debba essere vincolata ad efficacia ed efficienza. La trattativa che ha aperto con le regioni per l’assegnazione dei fondi Fsc ne è l’esempio: non solo ripete che di
quelli della programmazione 2014-2020 ne sono stati spesi solo il 34%, ma di quelli spesi, molti sono andati a finanziare quisquilie (se non vere mance elettorali) anziché, ad esempio, ridurre il divario del Mezzogiorno.
Per questo da domani inizierà gli incontri bilaterali con ciascuna delle venti regioni, per programmare insieme la spesa della prossima programmazione. La stessa cosa però avviene con i ministeri, che non vogliono rinunciare al loro cospicuo gruzzoletto Pnrr che gli è stato lasciato in dote.
Chiaro su questo è stato Salvini: “Io non lascio un euro”. Eppure, proprio il suo ministero che è tra i massimi beneficiari del
Piano è in forte ritardo su molte opere: la Salerno-Reggio Calabria, la Roma-Pescara (620 milioni), la Orte-Falconara (510 milioni), la rete tramviaria di Palermo, la cabinovia tramviaria di Trieste-Porto vecchio, la busvia di 13 km che a Perugia collega Castel Del Piano con Fontivegge, potenziamento della metropolitana e i 2,8 km della rete bus a Pozzuoli, i progetti d’acqua e le ciclovie. Molte di queste opere verranno stralciate, altre rimodulate. E tutto al netto della loro utilità. Ad esempio sono previsti 40 milioni per la ciclovia dell’acquedotto pugliese, che già oggi vige in stato di abbandono, una volta fatta, chi e con quali soldi la manuterrà?
Così gli asili nido: li facciamo, ma poi c’è il personale? Lo stesso discorso ha fatto Fitto in parlamento alla senatrice Lorenzin che protestava per lo stralcio degli ospedali di comunità: li facciamo, ma lo sapete che non si trovano medici per riempirli? Per i progetti non completati, l’ente beneficiario dovrà restituire i soldi indietro. Come ad esempio i 40 milioni per i tram di Padova, o i 12 milioni che dovrà restituire il comune di Milano perché non ha trovato lo spazio per piantare alberi.
Per questo Fitto insiste nel dire “meglio stralciare i progetti oggi, e girare quei fondi su altri, che rimanere con i progetti a metà e restituire tutti i fondi nel 2026”. La settimana prossima, come già fatto il mese scorso, invierà la relazione al Parlamento per la discussione in aula. Per questo, ma soprattutto per rispondere alla commissione europea, la settimana scorsa ha inviato una lettera a tutti i ministri chiedendo di inviare “gli investimenti per i quali emergono ritardi o difficoltà tali da pregiudicare il pieno raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi previsti nei tempi e nei modi previsti nel Pnrr”.
Il lavoro non è semplice e ha creato parecchia agitazione tra ministri, che, da quanto a noi risulta, non tutti hanno risposto al titolare del dicastero sul Pnrr. Il quale però, da buon democristiano, per non rompere, fa sapere che la scadenza non era obbligatoria. Lo è però quella della commissione europea. Entro Il 31 agosto devono essere inviate le revisioni, ma quella data non può essere l’inizio della trattativa per la sua modifica, ma il suo avvio.
Per questo l’Europa, anche attraverso Gentiloni, ha chiesto che il piano di modifica venga inviato prima. È vero che anche Germania, Spagna, Portogallo, Finlandia, Lussemburgo hanno chiesto una revisione, ma ad oggi l’Italia è l’unico Paese ad aver annunciato di volerlo cambiare senza aver presentato una riga alla Commissione europea per spiegare come. Il cronoprogramma prevede entro la fine di giugno il completamento di 27 tra milestone e target, tra cui si fanno notare in particolare gli obiettivi già segnalati come problematici relativi alle stazioni di rifornimento a idrogeno per il trasporto stradale e
alle colonnine per la ricarica elettrica delle auto. Finora, ricorda la Commissione, l’Italia ha già ricevuto 42 miliardi, a cui vanno aggiunti i 24,9 miliardi dell’anticipo incassato ad agosto del 2021. Il pagamento della terza tranche porterà la dote per il nostro Paese a quota 85,9 miliardi. Revisioniamo, e in fretta, ma per fare cosa?
