Procida ce l’ha fatta, ora avanti su servizi e sviluppo

Giovanni Boccaccio, Alphonse de Lamartine, Elsa Morante: grandi letterati hanno legato a Procida alcune delle loro pagine più famose. Ora che l’isola è stata proclamata capitale italiana della cultura per il 2022 e il comitato promotore ha centrato l’obiettivo dimostrando quanto la candidatura poggiasse su solide basi, siamo noi procidani a dover scrivere il capitolo forse più avvincente della nostra storia millenaria.

Mi spiego meglio. A lungo letteratura e cinematografia hanno celebrato l’isola come crocevia di culture, location di storie d’amore e località tra le più suggestive al mondo. Ora si tratta di rifondare il suo tessuto culturale e produttivo sfruttando come l’impareggiabile vetrina nazionale e internazionale che le è stata offerta.
A questo proposito mi si consentirà di attingere al mio bagaglio di ricordi. Ho trascorso a Procida, prima che la carriera nell’ambito della ricerca mi conducesse prima a Napoli e poi a Roma, i primi 14 anni della mia vita. Per la precisione nel borgo di Terra Murata, dove svetta Palazzo d’Avalos, l’ex residenza seicentesca che Ferdinando di Borbone trasformò in carcere nel 1830. Oggi meta di visite guidate, la struttura resta in gran parte abbandonata così come la splendida dimora del direttore del penitenziario. Ecco, la scelta di Procida come capitale della cultura deve accelerare quel processo di riqualificazione che dovrebbe fare del carcere un grande incubatore di attività culturali e commerciali, oltre che di servizi turistici.

La realizzazione di un progetto tanto ambizioso rivitalizzerebbe Terra Murata che oggi sconta numerosi limiti in termini di servizi, manutenzione e cura degli edifici storici. Altrettanto indispensabili sono il potenziamento del servizio di trasporto pubblico, il ripristino di quelle porzioni di paesaggio sfregiate da politiche urbanistiche non sempre lungimiranti, la costruzione di un modello economico che tenga conto sia dell’identità culturale di Procida sia della necessità di tenere il passo dei tempi. Sfruttare l’opportunità offerta dalla nomina a capitale italiana della cultura, significa proprio costruire una nuova idea di isola.

In questo contesto vanno evitati alcuni errori. Per esempio, l’indiscriminata proliferazione di piccole attività commerciali utili soltanto a “spolpare” i visitatori e completamente slegate da quella rilettura dell’economia locale di cui abbiamo parlato. Imprese “dal respiro corto” consentirebbero ai titolari di sopravvivere soltanto per alcuni anni, ma non sarebbero funzionali alla valorizzazione del patrimonio procidano né all’avvio di uno sviluppo duraturo. L’errore più grave, però, sarebbe crogiolarsi nell’oleografia, cioè nella sistematica riproposizione della banale e ripetitiva immagine dell’isola baciata dal sole e accarezzata dal mare.
Per noi procidani è tempo di passare dalla consapevolezza del valore dell’isola all’elaborazione di una strategia di sviluppo di lungo periodo: un cambio di passo indispensabile per trasformare il nostro abitato in capitale non solo di cinema e letteratura, ma anche di servizi, impresa e accoglienza.

*Direttrice del laboratorio di virologia dell’Istituto Spallanzani di Roma