(D)Istruzione
Propaganda russa nelle scuole medie italiane: storia e geografia in linea con le tesi del Cremlino
La guerra ibrida non passa soltanto dagli attacchi ai server, alle reti infrastrutturali o alle operazioni di disturbo come quelle condotte con droni su cieli strategici europei in queste settimane. L’hybrid warfare è totale, arrivando persino sui banchi di scuola, attraverso libri che formano la percezione del mondo in una generazione. È quanto emerge dal rapporto che l’Istituto Gino Germani ha presentato al Senato lo scorso 23 settembre. Curato da Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey, lo studio documenta la presenza di narrazioni strategiche di matrice russa all’interno dei manuali di storia e geografia per le scuole medie italiane, in un arco che va dal 2010 al 2024.
L’analisi colpisce per almeno tre motivi. Primo: i manuali delle medie sono decisivi, perché rappresentano la prima occasione in cui gli studenti italiani si confrontano con la dimensione europea e internazionale. Secondo: il settore editoriale è concentrato, dominato di fatto da pochi grandi gruppi, il che moltiplica l’effetto di ogni distorsione su svariati testi. Terzo: la penetrazione culturale appare in linea con le stesse narrazioni che Mosca diffonde a livello diplomatico e mediatico, segno di una continuità più profonda con il racconto strategico di Vladimir Putin.
Le distorsioni individuate dall’analisi dell’Istituto Germani sono sette, in larga parte coincidenti con la propaganda del Cremlino: dalla rappresentazione del Donbass come regione russa alla definizione del conflitto come “guerra civile”, fino alla narrazione della Crimea “sempre stata russa e tornata alla Russia dopo un referendum”, senza adeguato contesto sul voto alterato e forzato del 2014. La cultura russa viene talvolta presentata come coincidente con quella orientale, sminuendo i contributi degli altri Paesi e attribuendole artisti non propriamente russi. Altre ricorrenze riguardano la Rus’ di Kyiv descritta come nucleo originario dello Stato russo, l’Ucraina dipinta come Paese arretrato e corrotto, e il concetto di “accerchiamento Nato” che giustificherebbe l’aggressione russa. In alcuni testi si sostiene perfino che l’economia ucraina fosse basata sulle armi, producendo un effetto di antipatia verso Kyiv. Tutto in linea con la propaganda di Putin. Persino alcuni esercizi didattici sembrano rafforzare tali impostazioni.
“Il quadro complessivo ripropone il mito della pace e della grande cultura russa che è noto in Italia. Non riteniamo che chi ha scritto questi testi sia legato a Vladimir Putin, ma certamente c’è stata accettazione o quanto meno disattenzione nell’includere certe narrazioni”, spiega Di Pasquale. In alcuni casi si aggiunge la scarsa qualità redazionale: Odessa viene definita “la seconda città dell’Ucraina” e al tempo stesso “in Crimea”, quando è né l’una né l’altra. Per questo “il nostro lavoro non si è limitato a segnalare le ragioni per cui certe affermazioni sono fallaci, ma anche a spiegare il contesto da cui esse nascono e come si muovono nell’attuale schema di propaganda russa”, aggiunge l’autore.
Il risultato svelato è in effetti un’alterazione della realtà che a un occhio meno attento può sfuggire. Ma attenzione: la guerra cognitiva mira a colpire con concetti da sedimentare in modo quasi impercettibile, capaci però di condizionare il giudizio futuro di cittadini ed elettori. È anche sulla base di certe consapevolezze che il ministro della Difesa Guido Crosetto ha recentemente proposto la creazione di un “Centro nazionale per la guerra ibrida” per coordinare la risposta dell’Italia agli attacchi informatici, alle campagne di disinformazione, agli attacchi dei droni e ad altre minacce cross-dominio. L’obiettivo è creare uno scudo dinamico e collettivo piuttosto che fare affidamento esclusivamente su risorse militari.
Sono analisi come quella sui manuali scolastici a mostrare che la sicurezza nazionale non è più nel perimetro militare, ma un campo diffuso: toccando anche gli ambienti civili delle scuole medie, lo spazio in cui si misura la vulnerabilità di un Paese diventa pericolosamente ancora più vasto.
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