Dresda, agosto 2029. Dopo 15 anni, si è ricostituito il G8. Grazie al presidente Usa Vance, Putin è tornato tra i grandi della Terra. Nella foto del summit, i due sono immortalati insieme al cancelliere tedesco Merz, che guida ora un governo di minoranza sostenuto dall’AfD. Ci sono poi il presidente francese Bardella e il neoeletto primo ministro britannico Farage. Alle loro spalle, Ursula von der Leyen, presidente uscente della Commissione europea, e quella entrante, Giorgia Meloni. Che da Roma si è portata Giuseppe Conte, nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Completano il quadro il primo ministro canadese Carney e quello giapponese Ishiba. La simulazione è stata elaborata in un’indagine intitolata “Rise to the challengers: Europe’s populist parties and its foreign policy future”, realizzata dallo European Council on Foreign Relations (Ecfr).
Arturo Varvelli, direttore dell’Ecfr, da cosa nasce questo scenario?
«Dalle elezioni europee dello scorso anno, abbiamo osservato una crescente polarizzazione del voto. Abbiamo diviso quindi i partiti in due categorie. Da una parte quelli tradizionali, e poi gli altri, che abbiamo chiamato “challenger”. Termine più ampio e meno vago di populisti».
Perché «challenger» e cosa implica come definizione?
«“Challenger” va oltre la qualifica “emergente”. Indica una posizione di sfida all’ordine liberale europeo fondato su regole, convivenza civile, democrazia e diritti. C’è chi pensa che questo modello abbia ancora qualcosa da dire, soprattutto in contrasto ai nazionalismi. A loro volta, i partiti challenger tendono ad accettare comportamenti più illiberali».
Tra i movimenti in evoluzione, il vostro report mette anche il conservatorismo, che però non si è mai posto di traverso all’ordine liberale.
«Assolutamente no. Anzi. D’altra parte, è in corso una sua rigenerazione. E anche qui siamo a un bivio. Perché i partiti come quello di Orbán in Ungheria o la destra radicale tedesca per loro volontà vogliono rimanere fuori dall’alveo liberale. Altri, più tradizionali, cercano di coniugare populismo e conservatorismo classico. Fratelli d’Italia è l’esempio di maggiore successo, che ha contenuto la destra populista nel nostro Paese oggi rappresentata da Salvini».
Si può parlare di un’«internazionale conservatrice» che abbraccia questi partiti?
«Non ancora, siamo in una fase di sperimentazione. Peraltro, tra i partiti challenger bisogna includere anche i partiti di sinistra. Anche qui l’Italia fa da apripista. I 5 Stelle sono challenger tanto quanto la Lega».
France Insoumise è un partito challenger?
«La tendenza è quella, sì».
Parliamo di contenuti. Quali sono gli elementi comuni a questi partiti?
«Lo scetticismo per l’Ue, una valorizzazione della sovranità nazionale, forte anche in alcuni partiti di sinistra. Il M5S ha mostrato più volte di preferire ciò che è italiano rispetto a quello che viene da fuori. Aggiungerei un approccio pragmatico verso le alleanze transnazionali. Vediamolo nei confronti della Nato. Spesso la volontà è di tenersi liberi da vincoli tradizionali. Sul fronte Russia e Ucraina, molti sono o filorussi o favorevoli a una normalizzazione con Putin. La migrazione è un elemento di convergenza tra i challenger. Infine, i rapporti con la Cina come contrappeso agli Stati Uniti».
Molta politica estera e pochi interni.
«Sì, ma con riflessi sull’economia. Penso all’avversione alle liberalizzazioni e agli accordi commerciali non reciproci. Pensiamo al Mercosur. Così come lo scetticismo per le politiche climatiche, percepite come imposte dall’alto».
Cosa succede quando questi partiti euroscettici vanno al governo?
«Gli scenari sono molteplici e dipendono soprattutto dalle scelte americane. L’Amministrazione Trump, soprattutto la “componente Vance”, ha tentato una polarizzazione tra chi in Europa sta con gli Usa e chi no. Si è creata una divisione netta tra establishment e outsider, con un approccio culturale e nazionalista che potrebbe far spaccare l’Europa».
Quanto è probabile questo scenario di spaccatura europea?
«Il comportamento di Trump sui dazi ha, in realtà, costretto gli europei a ricompattarsi. Nessuno avrebbe potuto definirsi filo-trumpiano in quel contesto perché sarebbe stato un suicidio. Perciò questo scenario estremo appare al momento lontano».
D’altra parte, l’Europa resta frammentata.
«Si stanno creando coalizioni su specifiche tematiche. La situazione ricorda le geometrie variabili della nostra Prima Repubblica. Con l’elemento in più dell’odio reciproco. Un processo di polarizzazione sottovalutato. In parte legato a quanto succede in Usa. Ma anche la guerra russo-ucraina divide tra governi sensibili e altri poco sensibili. Infine Gaza, che sta polarizzando governi, elettorati e piazze. Gli scontri a Madrid alla fine della Vuelta sono l’ultimo caso in ordine di tempo».
