La guerra in Ucraina è colpa dei Paesi della Nato. Parola del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che ieri, alla Terza Conferenza internazionale di Minsk sulla Sicurezza eurasiatica, ha di nuovo evidenziato quello che ormai è il mantra del Cremlino. La responsabilità della guerra e del fatto che non si sia arrivati alla pace non è di chi ha invaso, ma di chi aiuta a resistere. Un curioso ribaltamento di prospettiva che tuttavia serve a Mosca per rilanciare quello che è il suo vero obiettivo politico e strategico: convincere il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a ridurre il sostegno a Kyiv e fare in modo che questo sia considerato un problema (e un disegno) esclusivamente dell’Europa.
Difficile dire quanto il Cremlino riuscirà davvero a spaccare il fronte occidentale. Ma intanto continuano ad arrivare segnali di apertura nei soli riguardi di The Donald. Lavrov ha detto che “non ci sono prospettive di un dialogo significativo con la maggior parte dei leader europei”. E per quanto riguarda il possibile vertice tra Vladimir Putin e il tycoon, Lavrov ha lanciato un segnale chiaro: “Abbiamo bisogno di garanzie che l’incontro tra i presidenti produrrà un risultato concreto. Siamo pronti per questo risultato”. Insomma, dal Cremlino la linea è ormai chiara: far capire alla Casa Bianca che non c’è alcun interesse a bloccare il filo diretto instaurato in questi mesi.
Tuttavia, le ultime mosse di Putin hanno sensibilmente irrigidito un Trump apparso da subito desideroso di fermare la guerra e avviare un negoziato di pace anche a costo di mettere all’angolo Volodymyr Zelensky. Tra bombardamenti sulle infrastrutture civili, avanzate lungo tutta la linea del fronte in Donbass e test missilistici, lo “zar” ha fatto capire di non avere intenzione di fermare la sua pressione militare sull’Ucraina. L’ultimo lancio del missile a propulsione nucleare Burevestnik è stato accolto in modo abbastanza negativo da parte del presidente americano. “Non credo che sia appropriato” ha detto Trump, ricordando che “abbiamo un sottomarino nucleare, il più grande del mondo, proprio al largo delle loro coste”. Rivolgendosi a Putin, il capo della Casa Bianca ha anche detto che “dovrebbe mettere fine alla guerra, guerra che sarebbe dovuta durare una settimana e che ora si avvicina al quarto anno. È su questo che dovrebbe concentrarsi, invece di testare missili”.
Ma intanto, oltre ai test, quello che preoccupa Kyiv è soprattutto l’aumento della pressione sul fronte orientale senza un adeguato sostegno da parte degli Stati Uniti e degli alleati europei. Ieri, il presidente Zelensky ha ammesso che la situazione sul campo, specialmente nell’area di Pokrovsk, inizia a essere sempre più complicata. La città, che è da tempo uno degli obiettivi più importante delle mosse russe nell’oblast’ di Donetsk, è quasi del tutto circondata, anche se le truppe di Mosca “non hanno raggiunto il risultato previsto” ha detto Zelensky. Secondo DeepState, uno dei siti che monitora i movimenti delle forze sul campo di battaglia, le unità del Cremlino hanno lasciato solo un varco di 15 chilometri per permettere alle forze ucraine di muoversi e ottenere rifornimenti. In città, secondo Zelensky, vi sarebbero in realtà solo 200 soldati russi, penetrati nella zona meridionale di Pokrovsk come testa di ponte. Ma quello che preoccupa lo Stato maggiore di Kyiv è soprattutto la carenza di personale, al punto che Mosca, in quell’area, potrebbe surclassare le forze del Paese invaso con un rapporto di otto a uno.
Zelensky ieri ha di nuovo auspicato che Trump prema sul leader cinese Xi Jinping affinché Pechino convinca il Cremlino a fermarsi. “Questo potrebbe essere uno dei suoi gesti forti, soprattutto se, dopo queste sanzioni decisive, la Cina sarà pronta a ridurre le sue importazioni” ha detto il presidente ucraino in riferimento al petrolio russo. Ma Zelensky è stato anche chiaro sulle capacità del proprio Paese e sul supporto dell’Unione europea. Per contrare l’invasione russa e le sue conseguenze servirà un sostegno finanziario per almeno “altri due o tre anni”, ha detto il presidente ucraino. E tutto passa anche dalle scelte dell’Ue su come gestire gli asset russi congelati.
