L’ultimo sondaggio Eurobarometro di fine 2023 sulle questioni di difesa mostra che una media dell’80% degli intervistati è a favore di un’accresciuta cooperazione nella difesa europea, mentre il 77% favorisce approvvigionamenti coordinati di armamenti: a prima vista la conclusione è “cosa si aspetta a fare la difesa europea?”. Del resto, le notizie parlano di un prossimo eurocommissario alla Difesa, di spese per la difesa escluse dal calcolo del debito rispetto al Patto di Stabilità, di un ruolo più attivo della Commissione Europea nella politica industriale degli armamenti, del 2% di spese militari in rapporto al PIL come obbiettivo minimo e tanto altro. L’autonomia strategica europea è dunque in marcia… Queste sono le apparenze, ma la realtà è molto più concreta e prosaica. Tanto per cominciare, le percentuali bulgare crollano rispettivamente al 42% ed al 53% appena s’informano gl’intervistati su due variabili critiche: i morti possibili nel corso di un’operazione congiunta ed i tagli nell’occupazione a causa degli acquisti coordinati (indagine LSE, 15/4/2024). Insomma, la Ferrari della difesa europea diventa molto meno appetibile quando si ha un’idea del prezzo da pagare. Il che spiega perché tutti parlano difesa comune e poi il progresso è molto più lento.
Appena un mese fa l’Unione Europea ha pubblicato il suo rapporto sui progressi compiuti rispetto alla Bussola Strategica, approvata nel 2022 a guerra iniziata in Ucraina. La Bussola Strategica è un documento costato molto lavoro politico e diplomatico per dire chiaramente al mondo cosa ci sta a fare l’Europa nel campo della sicurezza e difesa. Lo dice, ma senza aver voluto prendersi qualche mese per digerire le conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina. Risultato: si parla estesamente di come l’UE contribuisca alla gestione delle crisi oltremare con operazioni limitate, ma non della deterrenza convenzionale per scoraggiare un aggressore che scatena una guerra ad alta intensità. Sarebbe stato utile aggiornare drasticamente la Bussola adesso e non nel 2024, ma possiamo essere lieti di un rapporto sul progresso fatto. Appena un mese fa (12 marzo), l’Annual Progress Report di Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, ci dice che per l’Ucraina sono stati spesi €88 miliardi, con altri 50 già approvati; con il Fondo europeo per la pace sono stati forniti €28 miliardi di armamenti e che per la fine dell’anno saranno consegnai più di un milione di proietti d’artiglieria.
Mentre sono già stati addestrati 40.000 ucraini ed altri 20.000 lo saranno entro l’estate (facendo dell’UE il primo paese addestratore di Kiev), sarà creato un fondo speciale d’assistenza all’Ucraina per sostenerla “as long as it takes”. Entro il 2025 sarà operativa la forza d’intervento rapido europea e nel frattempo molto altro è in corso nelle istituzioni europee. Sono buone notizie da non disprezzare, ma dobbiamo renderci conto che l’Europa ha cominciato ad occuparsi di sicurezza appena dal 2001, fallendo l’obiettivo di creare una forza d’intervento rapido da 60.000 soldati e promettendo di far funzionare sulla carta una forza da 5.000 in poco meno di un quarto di secolo. Del resto, la Russia di Putin ci ha messo 21 anni per metter su uno strumento militare che vince troppo poco e non convince più di tanto, avendo una tradizione di stato unitario di almeno 410 anni.
Capito questo, sgomberiamo il campo da alcuni miti in rapida ascesa. Primo: dobbiamo passare ad un’economia di guerra e spendere tutti subito il 2%; va bene in linea generale, ma non nel concreto. Il 2% vale se produce capacità reali (brigate corazzate, meccanizzate, navi da guerra, squadriglie ecc.), non se paga stipendi e pensioni oppure va in armi nucleari. Il Regno Unito spende più del 2,1% in difesa, però il suo esercito sta tutto dentro Wembley e non basta per fronteggiare, con tutti gli altri alleati europei, le 9 armate russe schierate ai confini della NATO. La spesa europea, ancora oggi, è il doppio della spesa militare russa in guerra, senza contare le spese di Londra. Secondo: se vogliamo funzionare sul campo di battaglia non possiamo più produrre ognuno il proprio fuciletto; non basta essere intercambiabili (buono ma insufficiente), bisogna standardizzare con un aereo da combattimento, un tipo di fregata, un carro armato ecc. Bisogna spendere meglio e razionalizzare la nostra base industriale, altrimenti sul campo saremo degli ucraini di lusso (eroici, ma mal riforniti) e, nelle battaglie di bilancio, vittime di chi davvero produce in massa a costi più bassi. Naturalmente questo significa ridurre le ridondanze e lotte a coltello su chi produce cosa: scenario sgradevole per ogni politico, ma è in ballo la libertà e sicurezza di 448 milioni d’europei di cui 58 italiani. Terzo: alzi la mano chi davvero crede che in otto anni le armate russe attaccheranno un paese NATO. Se lo fa, introduca adesso una leva obbligatoria di due anni, altrimenti finirà i soldati prima degli armamenti. I paesi europei hanno un divario di 1,4 milioni di armati rispetto alle riserve totali russe e sarebbe imprudente contare in toto sull’alleato americano impegnato nell’Estremo Oriente. E l’autonomia strategica europea? Verrà se cominciamo a fare sul serio, altrimenti resta una roboante dichiarazione con il futuro alle spalle.
