L'intervista
Referendum giustizia, Cesare Salvi: “Vedo continuità con il ’99, la riforma è nata a sinistra per il diritto alla difesa dei più deboli”
«Le origini di quella che è diventata la riforma della separazione delle carriere non erano rivolte a ridurre l’indipendenza dei magistrati, ma riflettevano uno spirito garantista». È netto il professor Cesare Salvi, già ordinario di diritto civile, redattore capo della storica rivista Democrazia e diritto, a lungo parlamentare di PCI e PDS e vicepresidente del Senato. Lo interpelliamo perché, alla fine degli anni ‘90, fu protagonista assoluto dei lavori della Commissione Bicamerale, prima; della riforma costituzionale dell’art. 111, subito dopo.
Come e perché nasce la novella del 1999, a cui i sostenitori del Sì collegano l’odierno intervento riformatore?
«Alla base del testo di cui oggi si discute c’è – senza dubbio alcuno – la riforma dell’articolo 111 della Costituzione. Il Codice Vassalli del 1988 era organizzato intorno a un’idea garantista di funzionamento della giustizia penale, nella quale adeguate tutele erano apprestate a sostegno del diritto di difesa e della parità delle parti. Dopo l’approvazione della riforma processuale, tuttavia, la Corte costituzionale pronunciò una serie di sentenze con cui queste garanzie vennero progressivamente ridotte o smantellate. Gli interventi della Consulta, tutti sbilanciati in favore dei poteri dell’accusa, culminarono nella sentenza 361/1998 che estese la possibilità di utilizzare in giudizio elementi di prova raccolti nella fase delle indagini».
Anni terribili, dal 1992 al 1998, per il rito accusatorio, fondato sulla separatezza delle fasi. Contro la sentenza da lei citata, UCPI non esitò a proclamare una storica astensione.
«Sì, perché nella fase predibattimentale non è previsto il contraddittorio e quindi si alterava questa posizione di tendenziale parità. Le critiche, dal punto di vista garantista, furono accolte in Senato: due disegni di legge costituzionale, dal contenuto identico, tracciarono un nuovo testo dell’art. 111. Primi firmatari dei DDL furono rispettivamente Marcello Pera e il sottoscritto. Allora ero il capogruppo del PDS, il che significa che il testo rifletteva la posizione ufficiale del partito. Il comma 2 del nuovo art. 111 stabilisce, in contrasto con i citati orientamenti della Corte costituzionale, che “ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”».
Terzo, oltre che imparziale. Ecco il legame con l’attualità.
«Certo, così si distingue la posizione del PM, che è una parte allo stesso modo del difensore, da quella del giudice, che invece è un soggetto terzo e imparziale. Già in Bicamerale ci fu una discussione interessante su questo tema. Prendemmo le mosse più in generale dall’idea, per me ancora persuasiva, dell’unità delle giurisdizioni. Si ipotizzò di riformare la Costituzione nel senso di una tendenziale unità delle giurisdizioni, comprese quelle amministrativa e contabile. In questo progetto si inseriva l’idea di un Consiglio Superiore Unico della Magistratura, ma con due sezioni separate; quindi, non due consigli ma due sezioni. Allora il punto fu molto controverso, all’interno e all’esterno della Commissione. Dei principali attacchi alla Bicamerale fu protagonista il gruppo editoriale pro tempore del quotidiano La Repubblica».
Non mancarono neppure quelli della magistratura.
«Ricordo un intervento della Presidente di ANM, Elena Paciotti, molto critica su questo impianto della Bicamerale, alla quale purtroppo diede un avallo anche l’allora Presidente della Repubblica Scalfaro. Insomma, il clima era di forte attacco alla Bicamerale, con particolare attenzione al tema della giustizia. Proprio alla fine dei lavori, si vissero giorni difficili e controversi. Mattarella, allora membro autorevole del Partito Popolare propose di rimandare all’Aula tutto il testo, senza votare in Commissione, per propiziare una più ampia riflessione. Quindi non ci fu un testo approvato dalla Bicamerale, ma soltanto le cd. bozze Boato. Come si sa, Berlusconi decise quasi subito di sganciarsi: la storia della Bicamerale finisce lì».
Più fortuna ebbe la riforma dell’art. 111 Cost. L’happy end ci fu, anche grazie al lavoro di UCPI.
«Riconosco il contributo dei penalisti italiani. Come ho ricordato sopra, nel 1999 si verificò un idem sentire garantista in Parlamento che permise la rapida adozione della riforma, con maggioranza amplissima. Nel mio partito di allora (che adesso non esiste più) non ci furono in quel caso differenziazioni e contestazioni, presenti invece durante la Bicamerale».
Nel 1999 governava il Centro-Sinistra. Oggi la riforma costituzionale, pur traendo spunto dalla proposta di legge di iniziativa popolare frutto delle firme raccolte da UCPI, è il Centro-Destra ad averla adottata.
«Sì, e mi dispiace un po’. Anche se ho visto che in quell’area ci sono voci autorevoli per il Sì, la posizione ufficiale della sinistra è di drastica opposizione ed i motivi francamente non li comprendo fino in fondo. Per carità, è opzione legittima, ma se alle origini della riforma su cui si terrà il referendum c’è l’impianto di cui abbiamo parlato, l’attuale opposizione ha un orientamento che non corrisponde a questa storia. Vedo una continuità assoluta tra la riforma del 1999 e quella odierna: per me è determinante che il testo espressamente salvaguardi e ribadisca il principio di indipendenza e di autonomia del giudice e del pubblico ministero, elementi qualificanti di un sistema liberal democratico. Perché una persona di sinistra come me vede la separazione con favore? Perché un giudice davvero terzo garantisce più efficacemente il diritto alla difesa. Ciò vale soprattutto per i soggetti deboli, amplia le loro garanzie. I cd. potenti hanno altri mezzi per difendersi. Per me la riforma risponde a valori liberaldemocratici e di sinistra».
Come giudica gli allarmistici “al lupo, al lupo” di chi vaneggia di assoggettamenti del PM al Governo o di tradimenti della Costituzione?
«Sono argomenti totalmente privi di senso, perché bisogna stare al testo. Si dice “è il primo passo per”; se qualcuno farà il secondo passo, allora vedremo e reagiremo».
Astrattamente in futuro tutto può succedere: la revisione costituzionale è prevista dalla stessa Carta. Se si creasse una maggioranza parlamentare di qualunque colore o orientamento, che volesse modificare anche gli articoli a cui noi teniamo di più, è evenienza possibile anche a testo immutato.
«Certo, ma non è quello di cui si sta parlando adesso».
Passiamo al sorteggio del CSM. Le correnti, che sicuramente hanno svolto una funzione decisiva per l’evoluzione del corpo magistratuale, ultraconservatore all’inizio della storia repubblicana e poi finalmente pluralistico, hanno però mutato pelle. Da anni il CSM appare preda di logiche simili alle degenerazioni partitocratiche che divorarono il Parlamento della cd. Prima Repubblica. Temo che contro il correntismo non resti che la speranza del sorteggio.
«Non c’è dubbio, ricordo alcune battaglie di MD per l’attuazione della Costituzione significative e importanti, a costo di contrastare orientamenti giurisprudenziali consolidati. Le faccio un solo esempio, perché io insegno diritto civile pur essendo di provenienza penalistica: sul risarcimento del danno alla salute, si coniò il danno biologico, poi diventato legge. Fu MD a sostenere che, in base agli artt. 3 e 32 Cost., nel risarcimento del danno alla persona non si deve partire dalle condizioni economiche e patrimoniali, e addirittura dalla famiglia. Erano temi veri quelli di cui si discuteva un tempo. Adesso non è più così e da qui viene il meccanismo del sorteggio del CSM, al quale sono favorevole. Non stiamo parlando di un organo rappresentativo espressione della sovranità popolare, nel qual caso il sorteggio sarebbe del tutto fuor di luogo, ma di un organo che – comunque lo si voglia definire – ha essenzialmente funzioni di alta amministrazione. Risalendo agli assunti teorici dei grandi fondatori delle moderne democrazie, potrei citare il Rousseau del Contratto sociale: egli sosteneva l’adozione del sorteggio proprio per gli uffici giudiziari, mentre per quelli che lui chiamava “militari” (cioè gli uffici politici) propugnava l’elezione. Torno a una considerazione meno colta: davvero se un giudice può arrestare una persona e un altro può decidere di controversie rilevantissime, non sarebbero idonei a svolgere le funzioni che spettano ai membri del CSM? Sono in grado tutti di svolgerle. Con le leggi attuative, valorizzando le valutazioni di professionalità, si potrà perfezionare un’idea tutt’altro che sbagliata. Non riesco proprio a scandalizzarmi, né del sorteggio né del giudizio disciplinare dinanzi all’Alta Corte».
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