Sul sito dell’ANM la notizia è datata 14 settembre: «“A difesa della Costituzione e per il No al referendum”. Nasce il Comitato che avrà il compito di dar attuazione a quanto deciso dall’assemblea dell’Associazione nazionale magistrati in vista della consultazione che si terrà nel 2026 sul disegno di legge costituzionale a prima firma Nordio». Scopo statutario del Comitato: «Sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi derivanti dalla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere e sull’importanza di preservare l’attuale sistema di garanzie dei diritti dei cittadini e quindi di promuovere la vittoria del no al referendum costituzionale». Un primo rilievo “cronologico”, che tuttavia testimonia la particolare determinazione sottesa alla scelta dell’ANM: non è stata ancora avviata alcuna iniziativa referendaria (che, pare opportuno ricordarlo, è eventuale e non necessaria).
L’obiettivo perseguito è squisitamente politico: opporsi alla scelta del legislatore costituzionale in materia di assetto organizzativo dell’ordine giudiziario, non (tanto) perché ritenuto incostituzionale, ma per un diverso apprezzamento di opportunità. E politico è l’ente a tal fine istituito e tenuto ad attuare le direttive generali impartite dagli organi di vertice dell’ANM, eccedendo dagli scopi statutari di questa. Ci si deve allora interrogare sulla compatibilità di tale iniziativa con i princìpi costituzionali.
La Costituzione prevede, com’è noto, che si possano, con legge, stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati: e l’art. 3, comma 1, lettera h), d.lgs. n. 109/2006 sanziona come illecito disciplinare «l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici […].». La ratio della norma, secondo la Corte costituzionale (sent. n. 170/2018), è «impedire i condizionamenti all’attività giudiziaria che potrebbero derivare dal legame stabile che i magistrati contrarrebbero iscrivendosi ad un partito o partecipando in misura significativa alla sua attività. La Costituzione, in tal modo, mostra il proprio sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’indipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica».
Si tratta quindi di un punto cardine dell’ordinamento vigente. Ma nel caso del Comitato si è ben oltre l’iscrizione del singolo magistrato ad un partito politico: è l’associazione dei magistrati che si fa partito politico, al fine di convertire il referendum costituzionale in una scelta tra un legislatore che è tale per attribuzione costituzionale e una sorta di “controlegislatore”, che quelle attribuzioni non ha e che viceversa, in quanto ordine (e non potere), dipende dal legislatore, alle cui disposizioni e non ad altro è soggetto (art. 101, co. 2, Cost.). Il giudice può e deve rivolgersi alla Corte costituzionale ove dubiti della legittimità costituzionale della legge: ed è questo il solo modo, in tale sua veste, per intervenire sulla legislazione.
Resta infine sullo sfondo un problema che pure potrebbe avere il suo rilievo, e cioè la questione se la Costituzione attualmente vigente impedisca che il legislatore ordinario modifichi l’ordinamento giudiziario separando già in quella sede la carriera e la tutela del pubblico ministero, la cui figura e le cui funzioni, pur previste in Costituzione, sono nella stessa sede tenute distinte da quelle dei magistrati titolari della funzione giurisdizionale.
