Regionali Campania, Fico fa tremare il Pd. Il campo largo è imploso: troppo tardi per tornare indietro

ROBERTO FICO, POLITICO

Il centrosinistra si risveglia dal sogno del “campo largo” con un incubo: dopo la disfatta nelle Marche, la Calabria consegna al centrodestra un’altra vittoria schiacciante. Roberto Occhiuto sfiora il 60%, mentre Pasquale Tridico – candidato imposto dall’asse Schlein-Conte – si ferma ben sotto il 40%. Una débâcle che non è solo numerica, ma politica, e che sta producendo le prime fratture aperte nel Partito democratico.

Calabria, “una campagna demenziale”

A Roma, il malumore cresce. I riformisti del Pd non si nascondono più. Lia Quartapelle, tra le prime a rompere il silenzio, ha detto chiaramente che «non si devono fare slogan o proposte semplicistiche». In Calabria, ha ricordato, Tridico ha promesso di abolire il bollo auto «perché le strade sono fatiscenti». Ma i cittadini – osserva la deputata – «hanno diritto a un presidente che proponga come risolvere i problemi, non uno sconticino per convincerli ad andare a votare». È lo stesso messaggio che lancia Carlo Calenda, che affonda il colpo: «Una campagna demenziale, sembrava Checco Zalone. Promesse di redditi regionali, settemila forestali, bonus auto: un grado di populismo che raramente si è visto». Matteo Renzi, da parte sua, conferma la diagnosi: «Il risultato calabrese, come quello marchigiano, dimostra che non si vince sfruttando temi mediatici come la Palestina o il reddito di cittadinanza. Si vince al centro, come ha fatto Occhiuto. E come farà Giani in Toscana lunedì prossimo».

Quando il Pd si lega ai 5 stelle la sconfitta è sistematica

La verità è che il centrosinistra ha perso il contatto con il Paese reale. Nelle regioni dove il Pd si è legato mani e piedi ai Cinque Stelle, la sconfitta è diventata sistematica. I riformisti, finora tolleranti, cominciano a chiedere un cambio di rotta. E la voce più autorevole a farlo è quella di Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, che in un’intervista al Quotidiano Nazionale parla senza infingimenti: «Il campo largo non può essere un atto di fede. È uno strumento, non un fine. Oggi dobbiamo passare dall’unità come riflesso automatico all’unità come scelta consapevole, fondata su una visione comune». Per Picierno, la lezione di Calabria e Marche è chiara: «Il punto non è il candidato, è la proposta. È la qualità del nostro progetto di governo, regionale e nazionale. Su questo non siamo ancora arrivati. Lo dicono i numeri e lo dicono gli elettori». E poi un avvertimento al Nazareno: «Serve un’alleanza con una cultura politica riconoscibile, una politica estera coerente e una chiara impronta riformista. Altrimenti, più che un campo largo, rischiamo un campo confuso».

Campania, imbarazzo per la candidatura di Fico

È la parola “riformista” che torna a imporsi nel vocabolario della sinistra, dopo mesi di omologazione populista. Il Pd, stretto tra la retorica movimentista di Schlein e l’agenda assistenzialista di Conte, non riesce più a parlare a chi lavora, a chi produce, a chi chiede efficienza e non sussidi. E intanto cresce l’imbarazzo per la candidatura in Campania di Roberto Fico, ex presidente della Camera e simbolo di un Movimento 5 Stelle ormai in declino. «Un desaparecido della politica – commenta un dirigente dem del Sud – che riemerge dopo anni di silenzio non può rappresentare un’alternativa credibile a un centrodestra così forte e organizzato». Ma al Nazareno nessuno ha il coraggio di fermare la macchina: troppo tardi per cambiare, troppo debole la leadership per decidere. Il campo largo, nato come progetto di rinascita, è diventato un rituale di autolesionismo. E mentre il centrodestra consolida il suo primato anche nel Mezzogiorno, i riformisti del Pd preparano la resa dei conti. Non contro Tridico, né contro Fico: contro una linea che confonde l’unità con la resa, e che rischia di lasciare il Partito democratico senza popolo e senza futuro.