La piazza Roma di Ancona gremita ha accolto la prova di unità del centrodestra, con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani insieme sul palco per sostenere Francesco Acquaroli. Un’immagine che vale più di mille sondaggi e che certifica come le elezioni marchigiane del 28-29 settembre siano diventate il vero banco di prova della tenuta delle alleanze nazionali. Mentre i leader della maggioranza si presentavano compatti, dall’altra parte , per il campo largo procedeva in solitudine Elly Schlein, a Pesaro.

La premier ha voluto dare un messaggio chiaro, andando oltre la contesa locale. “Non sto insieme con gli altri partiti di centrodestra perché devo impedire alla sinistra di governare”, ha scandito dal palco anconetano, “io sto insieme agli altri partiti di centrodestra perché cerco di governare bene questa nazione, per darle un futuro, per darle una speranza. Non governo contro gli altri, governo per gli italiani”. Un passaggio che suona come un manifesto programmatico, ribaltando la narrazione di un’alleanza tenuta insieme solo dall’anti-sinistrismo e rivendicando invece una visione propositiva del potere.

Meloni e le contraddizioni del campo largo

Il contrasto con l’opposizione emerge con evidenza. Meloni ha sottolineato le contraddizioni del campo avverso: “Provate a chiedere ai 5 Stelle se sono orgogliosi di essere alleati con il Pd o al Pd se è fiero di essere alleato con i 5 Stelle. Si arrampicheranno sugli specchi”. E infatti Conte, qualche giorno prima, aveva sentito il bisogno di precisare: “Noi non siamo alleati del PD, abbiamo un progetto che è mandare a casa la Meloni”. Una dichiarazione che la premier ha commentato con una domanda retorica: “Ma che progetto è mandare a casa la Meloni?”. Dal palco, la presidente del Consiglio ha anche rivendicato i risultati del governo: “In tre anni abbiamo stretto accordi che porteranno in Italia circa 80 miliardi di euro di investimenti esteri. È come se avessimo fatto ogni anno un’altra legge finanziaria, grazie alla stabilità, grazie alla credibilità”.

E sulla questione del lavoro: “Abbiamo creato un milione di posti di lavoro in più, la gran parte dei quali a tempo indeterminato. È aumentata l’occupazione femminile e nessuno più di me può essere fiero che sotto il primo governo italiano guidato da una donna il lavoro in Italia per le donne aumenti”. Salvini ha mantenuto toni istituzionali, moderando lo stile diretto che caratterizza la sua comunicazione: “Siamo diversi, non dico migliori, non mi azzarderei”. Il riferimento all’inchiesta che coinvolge Matteo Ricci è stato solo sfiorato, con equilibrio istituzionale: “Non vinceremo perché Ricci è indagato ma perché siamo più bravi e lavoriamo di più e meglio. Spero che venga assolto, io le battaglie voglio vincerle sul campo”. Un passaggio che marca la differenza di approccio: “Siamo diversi perché noi non abbiamo speso una parola in questa campagna elettorale sul fatto che il candidato della sinistra è indagato dalla magistratura”.

Ma è stato Antonio Tajani a lanciare il messaggio forse più significativo per le dinamiche future. Il leader di Forza Italia ha rivendicato risultati concreti: “In tre anni abbiamo fatto quello che in trent’anni non avevano fatto i compagni”, citando l’interporto di Jesi e la galleria della Guinza, dove “Ricci ci dormì dentro per protesta, noi da svegli abbiamo finito i lavori”. Ma soprattutto, Tajani ha parlato della necessità di “intercettare quell’elettorato moderato che una volta votava a sinistra”, rivendicando per il suo partito il ruolo di forza di centro capace di allargare i confini della coalizione. La presenza massiccia di pubblico – più numeroso rispetto a tre anni fa, quando Meloni aprì proprio da Ancona la campagna per le politiche del 2022 – testimonia una coalizione che non solo tiene, ma che sembra rafforzarsi.

Sondaggi: Acquaroli avanti

“Non era scontato”, ha ammesso la premier, “che dopo tre anni di governo ci fosse ancora tanta gente a riporre la sua fiducia in noi. Significa che gli italiani vedono che ce la stiamo mettendo tutta”. I sondaggi danno Acquaroli avanti di circa 5 punti su Ricci, con il 57% dei marchigiani che approva il suo operato. Ma al di là dei numeri, è la capacità del centrodestra di presentarsi unito e propositivo a fare la differenza. Mentre il centrosinistra fatica a trovare una sintesi tra le sue anime, la maggioranza dimostra una pragmaticità che copre tutti i registri comunicativi: dalla leadership di Meloni al linguaggio diretto di Salvini, passando per il moderatismo di Tajani.

Se il centrodestra dovesse confermare i pronostici nelle Marche, per il campo largo sarebbe una sconfitta significativa. Non solo per la perdita di una regione strategica, ma soprattutto perché certificherebbe l’inadeguatezza di una formula di alleanza costruita più sull’opposizione a Meloni che su un progetto condiviso. E a quel punto, le opzioni per costruire un’alternativa credibile si smarrerebbero nei campi larghi.