Riforma giustizia, il viceministro Sisto: “All’inizio nessuno ci credeva. Dobbiamo fare in fretta e andare al referendum”

FRANCESCO PAOLO SISTO POLITICO FORZA ITALIA

Esecutivo e magistratura. Un rapporto già incrinato, trasformatosi in uno scontro senza esclusione di colpi, in cui dalle parole si è passati ai fatti. Da una parte le indagini, avviate quasi consecutivamente, sul sindaco di Milano, Beppe Sala, per il complesso caso urbanistica e sul candidato del Pd per le regionali nelle Marche, Matteo Ricci, chiamato in causa per l’inchiesta “Affidopoli”. Dall’altra, la vittoria riportata dal governo in Senato sull’approvazione del testo in merito alla riforma della separazione delle carriere. Un grande passo in avanti per l’esecutivo e uno smacco alla magistratura che, però, promette ancora battaglia.

Il dibattito a L’Ora del Riformista

Un vero e proprio valzer della giustizia quello che ha accompagnato l’Ora del Riformista di ieri, moderata da Aldo Torchiaro e commentata da Tiziana Maiolo, già deputata e presidente della Commissione Giustizia, Simonetta Matone, già magistrata e deputata della Lega in Commissione Giustizia, Ettore Rosato, vicesegretario di Azione, Giovanni Sallusti, giornalista e direttore di Radio Libertà, e Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia. In Senato, il governo ha ottenuto un successo tanto grande quanto inatteso, come ha descritto Sisto: «Era una riforma in cui nessuno credeva all’inizio. È diventata improvvisamente la riforma della legislatura. Si tratta di un testo che le Camere non hanno inteso modificare, anzi è stato avallato dalla maggioranza di governo e anche da una parte dell’opposizione». Ed è proprio nei confronti degli oppositori che la maggioranza, secondo Sisto, deve giocare d’anticipo: «Dobbiamo sbrigarci per le ultime due fasi, per poi dare la parola al popolo con il referendum. Sono dell’avviso che dobbiamo chiederlo noi, senza aspettare che sia l’opposizione a invocarlo».

Sulla frattura tra esecutivo e magistratura ha proseguito Matone: «Non si tratta di una vendetta del potere politico nei confronti del potere giudiziario, ma di un atto di sanità pubblica. La cosa che i magistrati ritengono più pericolosa è il sorteggio, in quanto distrugge le correnti politiche interne, ma si tratta di uno strumento di democrazia, già presente in tantissimi Paesi civili».


E se la riforma, da una parte, ha aggravato i rapporti tra i due poteri, dall’altra ha unito partiti di diverse vedute, come confermato da Rosato: «È un elemento corretto nei fatti, che aiuterà l’indipendenza e il percorso professionale dei magistrati. Questa riforma corrisponde a quello che avevamo scritto nel programma elettorale e quindi restiamo coerenti con il nostro percorso».

Tira tutt’altra aria sul banco degli indagati, a partire da Milano, un caso che Sallusti ha ben presente: «Quest’episodio segna un ritorno eterno dell’uguale in tema di politica e giustizia. Sembra che per molti versi ci sia un caso analogo a quello del 1992. A Milano la Procura ha messo nel mirino un modello di sviluppo e questo è indifendibile». Ma, almeno per il momento, il terremoto politico sembra essersi assestato: «Sala e il suo “azionista di maggioranza”, il Pd, hanno concordato che Tancredi era l’agnello sacrificale e l’assessore ha annunciato le dimissioni».

Ex assessore durante le amministrazioni di Albertini e Moratti, Maiolo ha approfondito la vicenda: «Il comune governato dalla sinistra ha sempre avuto una copertura politica da parte della Procura della Repubblica. Qualcosa si è rotto quando è finita la sequela dei procuratori di magistratura democratica. La dirigenza è cambiata ed è venuta meno quella copertura». Mentre sul caso Ricci si sofferma ancora Rosato: «Da questo punto di vista abbiamo veramente la necessità di avere una riforma della magistratura di cui il primo passo è la separazione delle carriere. Oggi qualsiasi cosa faccia un magistrato a un politico, assume la lettura di uno scontro tra fazioni. Ognuno deve tornare a fare il suo lavoro».