Esteri
Rubio, il mediatore imprescindibile. Da “Little Marco” a orgoglio di Trump
Il Segretario di Stato (ministro degli Esteri) Marco Rubio è il primo cubano entrato in un governo degli Stati Uniti. Viene dall’area dura dei repubblicani favorevoli agli interventi militari, ma oggi ha accettato almeno in parte l’ideologia MAGA di Donald Trump, contraria a qualsiasi azione militare e desiderosa di riportare la Russia di Putin nel salotto buono internazionale. Marco Rubio era presente ad Anchorage, Alaska, dove Trump ha rimesso in pista la Russia di Putin, senza peraltro ottenere nulla in cambio. Marco Rubio è stato l’ispiratore di questa linea gradita al suo omologo russo Sergei Lavrov il quale, per mostrargli il suo gradimento si presentò in Alaska indossando una felpa con l’acronimo dell’ex Unione Sovietica: CCCP.
Marco Rubio e Lavrov
Marco Rubio e Lavrov si sono trattati reciprocamente come vecchi amici, cosa che fa una certa impressione se si considera che Rubio, che per anni è stato membro nella Commissione Esteri del Senato, quando si riferiva a Putin lo chiamava “gangster”, “thug” (bullo) e “war criminal” (criminale di guerra). In due anni ha maturato una visione del mondo e si è trasformato nell’intellettuale freddo e competente della politica estera americana. Il contrasto è più evidente se si ricorda che Rubio esprimeva giudizi pessimi su Trump nel 2016, quando erano concorrenti alla pari nelle primarie della Florida e si prendevano a pesci in faccia (che è, in fondo, il bello della democrazia americana). Trump affibbiava allora soprannomi derisori chiamando Joe Biden “sleeping Joe” (l’addormentato) e sfotteva Rubio dandogli del “Little Marco”, piccolo di statura.
L’orgoglio di Trump
Oggi Trump parla di Rubio con l’orgoglio del talent scout: lo ha appena definito il “mio nuovo Kissinger: uomo giovane ed esperto, capace di analisi profonde e previsioni di cui ti puoi fidare”. Ed ora Marco ha avuto l’incarico dal Presidente di guidare la task force che dovrebbe rendere concrete le famose “garanzie di sicurezza” per proteggere – anche a mano armata – l’Ucraina del dopoguerra, nel caso in cui Putin volesse riprovarci. Quindi Rubio sta giocando una partita in cui è costretto ad armonizzare le sue due anime e renderle entrambe produttive: la prima, quella della sua formazione anticomunista e antirussa, e la seconda che copre le spalle di Trump con un comportamento apprezzato dai MAGA, fra i quali è molto rumorosa una frazione decisamente filorussa e antieuropea.
Chi è Marco Rubio, le origini cubane e l’ascesa a Segretario di Stato
Marco Rubio è nato in Florida da Mario e Oriales Rubio, figli di cubani fuggiti dal regime di Castro e membri di quella comunità che ha, per anni ha sperato nel ritorno a Cuba, abbattendo il governo di Fidel. Ma è lo stesso gruppo influente e compatto che, quando ha capito che il sogno non si sarebbe mai realizzato, ha formato un partito cubano dentro il “Grand Old Party” repubblicano, la cui posizione era sempre di avversione per comunisti e russi anche dopo la fine del Comunismo e dell’Unione Sovietica. Oggi è il protagonista di un’operazione tutta da costruire, delle “garanzie di sicurezza per l’Ucraina” che, nei progetti di Donald Trump deve essere tanto duttile da mantenere in equilibrio fra loro sia gli umori antirussi degli europei, che la mano tesa a Putin in Alaska, con Rubio. Rubio non è soltanto il Segretario di Stato americano ma anche il National security adviser, la figura di chi sta accanto al Presidente per elaborare la politica estera da affidare poi al segretario di Stato. Rubio ricopre le due cariche e funzioni: elabora con l presidente ed esegue ciò che ha già deciso. Il primo cubano al governo sembra già aver scavalcato la posizione di JD Vance – il vicepresidente che non ha fatto progressi – ed appare come il naturale successore di Trump, almeno fino a questo punto. Lo dice lui stesso, riconoscendo le modifiche della politica estera americana che portano anche la sua firma insieme a quella di Trump. Rubio è nella posizione di rendere credibili le richieste degli europei ed esercitare una forte pressione sul Cremlino attraverso Lavrov. È un gioco “tricky”, complicato e ingannevole come sottolinea il New York Times.
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