Il conflitto
Russia, nuovi attacchi sull’Ucraina e negoziati sabotati. Mosca lavora per la resa di Kiev
Il negoziato sull’Ucraina inizia a tingersi di giallo. Perché dopo l’incontro in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, e dopo il vertice di Washington tra il presidente degli Stati Uniti e i leader europei, incluso l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky, tutto appare di nuovo in bilico. L’intenzione di tutti, almeno nelle dichiarazioni, è quello di finire la guerra il prima possibile. Il punto però è che sono in molti a credere che il primo a non essere sincero nelle intenzioni sia proprio il presidente russo. Perché Putin, dopo il faccia a faccia di Anchorage con il capo della Casa Bianca, non ha cambiato affatto né le sue richieste né le sue mosse sul campo di battaglia.
Sul fronte di guerra, il Cremlino non sembra intenzionato a frenare le sue ambizioni. L’avanzata russa è molto lenta, a tratti impercettibile. Le forze ucraine resistono in diversi bastioni strategici. Tuttavia, la pioggia di fuoco continua a martellare tutto il Paese invaso, con droni e missili che cadono a decine, se non a centinaia, ogni giorno. Tanto che ieri, proprio durante la visita del segretario generale della Nato Mark Rutte, a Kyiv è scattato l’allarme antiaereo. Mentre via terra prosegue la campagna di Mosca per strappare più territorio possibile a Kyiv. Ieri il ministero della Difesa russo ha dichiarato su Telegram la conquista di altre tre villaggi nel Donetsk, Katerynivka, Volodymyrivka e Rusyn Yar. Ed è chiaro che questa rinnovata spinta in Donbass sia il frutto di una precisa strategia del Cremlino: impantanare la diplomazia occidentale nelle trattative preliminari all’accordo di pace mentre prosegue l’ampliamento dei territori ormai passati sotto il proprio controllo, arrivando così alla pace con un bottino sempre più vasto.
La questione appare ormai chiara. Anche perché, dopo i primi giorni di entusiasmo per le parole di Trump e per le immagini di compattezza arrivate dal summit della Casa Bianca, cominciano a intravedersi i primi segnali di preoccupazione e di pessimismo. Ieri Trump ha dichiarato che organizzare un incontro tra Zelensky e Putin è come mescolare “olio e aceto”. “Vedremo se dovrò esserci o meno. Preferirei di no”, ha ammesso il tycoon. E mentre dalla Bielorussia è arrivata l’offerta di Aleksandr Lukashenko per ospitare a Minsk il vertice tra i due leader (scelta che appare alquanto difficile, visto che ormai il Paese è un protettorato a tutti gli effetti di Mosca), è stato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a mettere di nuovo in chiaro i pensieri del Cremlino. “È l’Ucraina a ostacolare i progressi verso un accordo di pace”, ha affermato Lavrov alla Nbc News. “Il presidente Trump ha suggerito diversi punti che condividiamo e su alcuni di essi abbiamo accettato di mostrare una certa flessibilità”, ha spiegato il ministro russo. Anche all’incontro con i leader europei “è stato molto chiaro per tutti che ci sono diversi princìpi che Washington ritiene debbano essere accettati, inclusa l’esclusione dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato e la discussione di questioni territoriali – ha proseguito Lavrov – ma Zelensky ha detto no a tutto”.
Mosca, quindi, ha già un colpevole per l’eventuale naufragio delle trattive: il presidente ucraino. E intanto, come hanno spiegato le fonti di Reuters, le richieste di Putin a Trump sono state nette. La Russia vuole tutto il Donbass, anche a costo di restituire una parte delle aree di Kharkiv, Dnipropetrovsk e Sumy. Il Cremlino sembra anche disposto a non irrigidirsi sul Kherson e Zaporizhzhya, concedendo una sorta di congelamento della linea del fronte. Mentre a livello politico e strategico, Putin non accetta compromessi: Kyiv deve essere neutrale, abbandonare qualsiasi ipotesi di adesione alla Nato e non dovrà ospitare truppe europee sul proprio territorio. Queste richieste si uniscono necessariamente alle garanzie di sicurezza che l’Europa e gli Stati Uniti dovranno poi fornire all’Ucraina una volta trovato l’accordo con la Russia. Zelensky anche ieri ha detto che l’obiettivo è arrivare a delle rassicurazioni come l’articolo 5 della Nato (proposta anche dalla premier Giorgia Meloni). Ma se Rutte, in visita a Kyiv, ha detto che si sta lavorando su “robuste garanzie di sicurezza”, lo stesso Zelensky è apparso più cauto: “È troppo presto per dire chi potrà fornire truppe, chi Intelligence, chi presenzierà in mare, chi nei cieli e chi sarà pronto a finanziare”.
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