“Sabrina Misseri resti in carcere, è socialmente pericolosa”, la Cassazione nega il permesso premio alla cugina di Sarah Scazzi

Sabrina Misseri deve restare in carcere in quanto socialmente pericolosa. È la decisione arrivata dalla Corte di Cassazione questa mattina, confermando così il ‘no’ arrivato il 12 aprile del 2021 dal Tribunale di Sorveglianza che aveva deciso di non concederle un permesso premio.

La 34enne era stata condannata all’ergastolo assieme alla madre Cosima Serrano con l’accusa di aver ucciso la cugina 15enne Sarah Scazzi, gettandone poi il corpo senza vita in un pozzo nelle campagne di Avetrana, in provincia di Taranto, il 26 agosto del 2010.

Per gli ermellini, il fatto che Sabrina non abbia ammesso il delitto, pur non essendo una condizione necessaria per ottenere il permesso, indica in lei la mancanza di una “rivisitazione critica” del suo “pregresso comportamento deviante” e attesta la sua pericolosità sociale.

Alla base del ricorso in Cassazione della difesa di Sabrina Misseri vi era la richiesta di esaminare il “positivo percorso penitenziario” dalla 34enen di Manduria. Secondo i suoi difensori infatti era “legittima” la sua scelta di non assumersi la responsabilità dell’omicidio della cugina, d’altronde Misseri aveva sempre negato il coinvolgimento nella morte di Sarah Scazzi.

Sabrina Misseri che a tal riguardo “ha proposto ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e intende proporre istanza di revisione della condanna”, hanno sottolineato i suoi legali. Per questo secondo la difesa era “legittimo il comportamento di negazione della responsabilità che non può essere valorizzato per rigettare il permesso premio, istituto finalizzato al favorire il reinserimento sociale”.

Tesi non accolta dagli ermellini che nella sentenza 10425 della Prima sezione penale scrivono al contrario che la negazione del permesso premio è fondata “sulla sostanziale sottrazione al confronto con gli operatori sugli elementi posti a fondamento della sua condanna”. “Tale circostanza – spiega la Corte – legittima l’impossibilità evidenziata nell’ordinanza, di valutare in termini positivi l’incidenza del percorso penitenziario sul giudizio di pericolosità”. “La non necessità della confessione del reato per ottenere il permesso premio – aggiungono i giudici – non elide infatti la rilevanza da attribuire al comportamento del condannato che risulti indisponibile al tentativo degli educatori di promuovere la riflessione sul vissuto connesso alle sue vicende penali”.