Sant’Agostino non parlò mai di guerra giusta

Dove sono i teologi, nel conflitto in corso? Guerra di valori, la definisce il Patriarca ortodosso Kirill di Mosca, intendendo che la Russia combatte un corrotto Occidente. E i teologi nostrani dove sono? A don Mauro Cozzoli, della Lateranense, abbiamo lasciato campo libero a disquisire di “guerra giusta”, qualche tempo fa sull’agenzia Ansa. Don Giuseppe Lorizio, anche lui docente alla Lateranense, ha scritto – giustamente e in controtendenza – che ci vuole un rinnovamento profondo della teologia pena la sua insignificanza. Però in tv – prendiamo ad esempio Floris martedì dopo Pasqua – si discetta confondendo la difesa con la guerra giusta. E mettendo a tacere una voce autenticamente pacifista come quella di don Fabio Corazzina, efficace parroco di Brescia quando predica – ma non in tv – ed esponente di Pax Christi Italia.

Dando invece spazio alla “teologa ucraina” Natalia Karfut (non si sa dove insegni teologia) che si è presentata con una fotocopia dal “Compendio della Dottrina Sociale” della Chiesa, per dire che al numero 500 si parla di guerra giusta. Se avesse letto tutta intera la parte relativa del più ampio “Catechismo”, avrebbe avuto un’idea più precisa. Lo facciamo subito qui in questo articolo. In tutte queste trasmissioni si tace sempre e comunque del Papa, che pure ha parole inequivocabili proprio sulla “guerra giusta”. Ma siccome vanno in un’altra direzione rispetto alla “vulgata” che deve dominare, si fa finta che il Papa non esista. E così la confusione è molto grande. Vale la pena di mettere ordine. Come scrive giustamente don Rocco D’Ambrosio, docente alla Gregoriana, la dottrina cattolica si tira un po’ da ogni parte, soprattutto quando si argomenta per sentito dire, per giustificare tutto ed il suo contrario. Ed invece il pensiero della Chiesa è più preciso. Il “Catechismo della Chiesa cattolica” spiega che ci sono condizioni che ci possono far parlare di “guerra come legittima difesa con la forza militare. Essa è giustificata solo se sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale” (che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare).

“Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune” (Catechismo, par. 2309). E qui si dovrebbe aprire un dibattito, proprio per indicare “chi” abbia tale e tanta legittimità dal punto di vista morale. In ogni caso su questa linea si inserisce il richiamo all’ingerenza umanitaria, formulato da Giovanni Paolo II: “Quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Queste tuttavia devono essere circoscritte nel tempo e precise nei loro obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite da un’autorità riconosciuta a livello soprannazionale e, comunque, mai lasciate alla mera logica delle armi” (Discorso 1 gennaio 2000). Da notare che “ingerenza umanitaria” è un concetto usato per giustificare l’invasione dell’Iraq da parte di una coalizione occidentale. La cui legittimità morale ad ergersi come difensori dei diritti umani, appare quanto meno dubbia.

Se possiamo distinguere tra aggressore e aggredito (sul piano teorico, almeno) – ma in assenza degli esperti di scienze umane (leggi psicologi) le cui teorie sistemiche e strategiche (in psicologia, s’intende!), aiuterebbero a comprende i meccanismi psicologici e sociali dei conflitti (e aiutare nel disinnescarli, prevenirli, contrastarli…) – sul terreno le situazioni sono sempre molto diverse. E sono i tipi e la quantità di armi a fare la differenza. Qui interviene Papa Francesco. E non da oggi. A parte i numerosi interventi profusi in questi 50 e passa giorni di guerra, la linea più avanzata nella Dottrina Sociale la troviamo nell’enciclica “Fratelli Tutti” del 2020 che impone – impone, è il caso di dirlo – un drastico cambiamento di prospettiva. Siccome le guerre sono tutte “giuste” viste da una parte o dall’altra – pensiamo ai papi del Medioevo che benedivano spaventosi massacri definiti Crociate – e siccome le armi di cui siamo in possesso ci possono far distruggere tutta la terra non una ma centinaia di volte, occorre superare l’idea stessa di guerra. E per chi cita sant’Agostino come grande fautore della “guerra giusta”, Papa Francesco fa notare che “elaborò un’idea della guerra giusta che oggi ormai non sosteniamo”. E proprio il vescovo di Ippona scrisse che “dare la morte alla guerra con la parola, e raggiungere e ottenere la pace con la pace e non con la guerra, è maggior gloria che darla agli uomini con la spada” (Epistula 229, 2: PL 33, 1020).

Chiaro? Più chiaro leggendo bene i paragrafi 258-260 della “Fratelli Tutti”, e ricordando Giovanni XXIII quando scriveva “riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (“Pacem in Terris”, par. 67). In particolare Papa Francesco argomenta così (sintetizzo). La possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare è lecita con regole precise (quelle elencate prima). E tuttavia “nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione” (par. 2309) e dunque come si vede, la “guerra di legittima difesa” è poco praticabile in se stessa. Papa Francesco aggiunge: “Tuttavia si cade facilmente in una interpretazione troppo larga di questo possibile diritto” e si finisce per “giustificare indebitamente” anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che causano problemi più gravi.

“La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. (…) Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!” (par. 258). Nei passaggi successivi il Papa sottolinea che l’ordine internazionale non può mai essere fondato sulla paura, sul ricorso alla forza come strumento di consenso. E insiste su un’idea molto semplice: è la politica – nel senso più nobile del termine – che non deve mai abdicare dal suo ruolo e deve impegnarsi a fondo per portare nel mondo pace e sviluppo, non conflitti.

Che dire? La linea della Chiesa dal Concilio in poi Magistero è inequivocabile. Abbiamo visto Giovanni XXIII, poi Paolo VI affermare senza incertezze che è lo sviluppo il nuovo nome della pace (sempre “Populorum Progressio”). Ed ora Papa Francesco. Come facciano sedicenti teologi televisivi, o commentatori, a ignorare completamente 60 anni di Magistero Sociale, è veramente difficile comprenderlo. A ripensarci bene, ha ragione don Giuseppe Lorizio: la teologia – i teologi – faranno bene a rinnovarsi sul serio e a prendere l’unica strada sensata e possibile, cioè integrare etica e Dottrina sociale per rinnovare il pensiero teologico di fronte alle drammatiche sfide del presente, pena l’insignificanza. Del resto, chi parla davvero di pace oggi? A parte il Papa, il cardinale Parolin, mons. Vincenzo Paglia (sul fronte della Santa Sede), moltissimi tacciono ed i pochi sacerdoti in tv (vedi don Fabio Corazzina) vengono interrotti e non possono spiegare. Meglio la tv che furoreggia, della tv che faccia riflettere un po’?