Esistono, in Italia, tre codici di giustizia. Il codice penale, il codice di procedura penale e il Codice Travaglio. I primi due riguardano un numero ridotto di processi. Quelli che si svolgono nelle aule dei tribunali. Pochi. Spesso poi si concludono con le assoluzioni, e questo, da una parte consistente del giornalismo e dell’opinione pubblica italiana, è considerato un fatto non positivo.
Il Codice Travaglio invece riguarda la maggior parte dei processi, quelli che vengono originati da un avviso di garanzia o da un semplice articolo di giornale, e che si svolgono in forma mediatica e si concludono con la condanna. Il Codice Travaglio non prevede assoluzioni, né tantomeno prescrizioni. Anzi, la particolarità di questo processo è che può giungere molto rapidamente alla condanna (in genere questo avviene in poche ore) e poi comunque continuare anche per molti anni, con un numero indefinito di successive condanne.
Voi conoscete quel cervellotico principio del diritto romano (e di tutti i successivi “diritti”) che stabilisce il cosiddetto ne bis in idem? Vuol dire che non si può processare la stessa persona due volte per uno stesso reato. Nel Codice Travaglio esiste il principio opposto: se una persona viene processata una volta è giusto processarla ancora tre, quattro, cinque, “enne volte”. E condannarla, naturalmente.
Nel Codice Travaglio non esiste la necessità di esibire delle prove per condannare qualcuno. Le prove sono considerate una “azzeccagarbugliata” inventata dagli avvocati per buttare tutto in caciara. Il Codice Travaglio prevede la sacralità del sospetto. Il sospetto, secondo il Codice Travaglio, assai raramente porta fuori strada. Se sei indotto a sospettare di qualcuno ci sarà pure una buona ragione, altrimenti non sospetteresti di lui. E se c’è una buona ragione è altissima la possibilità che questa persona sia colpevole. La possibilità dell’errore nel sospetto esiste sempre, ma in quel caso si chiama “errore fisiologico” (è un concetto ripreso dal Codice Davigo) e l’errore fisiologico è un non errore, una percezione parzialmente inesatta della verità.
Ora, voi sapete che da qualche giorno noi poniamo una domanda all’autore del Codice Travaglio, che poi sarebbe Marco Travaglio. E gliela poniamo, gliela abbiamo sempre posta, utilizzando il buon senso e non uno dei codici dei quali abbiamo parlato fin qui. E cioè gli chiediamo di darci una spiegazione sul significato di una intercettazione, della quale abbiamo già pubblicato il verbale, e che riguarda il suo giornale e il caso Consip.
Per comodità dei lettori trascriviamo nuovamente questa intercettazione. È il 19 febbraio del 2017. L’intercettato è il dottor Francesco Licci, capo delle relazioni esterne di Consip e capo della commissione che doveva decidere sulle 18 gare di appalto che sono l’oggetto della inchiesta. Sta parlando con l’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni. Dice, testualmente, il verbale: «Licci Francesco chiama Marroni Luigi e gli dice: “Oggi il Fatto ce n’ha per tutti…”.
I due commentano un articolo de Il Fatto che attacca la Panozzo (dirigente anticorruzione di Consip), nell’articolo c’è scritto: “Sta lì a far niente”. Commenta Marroni: “Sempre che ci siano corrotti”. Licci: “I giornalisti danno sempre per scontato che i corrotti ci siano”. Marroni si pone la questione se conviene “fare una strategia con il Fatto”. Licci dice che ha già contattato una società “che fa questo di mestiere e gli ha passato tutto l’incartamento”. Dice di aver “contattato un amico che lavora a Roma ed è molto bravo: Gianluca Comin”».
Letta questa intercettazione, che è stata depositata dal Gip Gaspare Sturzo, ci siamo chiesti cosa sia successo dopo questa conversazione. Comin ha parlato con Il Fatto? Cosa ha detto? Cosa ha chiesto? Cosa ha offerto? Cosa ha proposto? Come è stato accolto? Ci aspettavamo una garbata risposta, garbata ed esauriente da parte del direttore de Il Fatto. Invece niente, silenzio.
A questo punto bisogna decidere quale codice usare. Perché è chiaro che se uno usasse il Codice Travaglio sarebbero guai. Travaglio stesso sarebbe immediatamente condannato per traffico di influenze e intelligenza col nemico. Voi dite: ma chi vi garantisce che poi Comin sia andato da Travaglio? Nel Codice Travaglio questa domanda non è ammessa: decine di politici sono stati incastrati perché qualcuno diceva qualcosa di loro. Senza nessun bisogno di riscontri. Per la stessa ragione il Codice Travaglio rifiuterebbe l’obiezione di chi volesse avanzare l’ipotesi che Il Fatto possa aver rifiutato una proposta di Comin. O addirittura che Comin volesse solo – e inutilmente – intimidire Il Fatto.
È triste, ma è così. Il Codice Travaglio, in presenza di quella intercettazione, condanna senza appello e avvia anche la teoria delle successive condanne a ripetizione.
Noi però – per fortuna – siamo garantisti e non applichiamo il Codice Travaglio. Presumiamo la sua innocenza. Però vorremmo che lui ci dicesse cosa gli è stato proposto, o detto, o comunque cosa è successo tra lui e i massimi dirigenti della Consip. E vorremmo saperlo non per condannare – non ci pensiamo nemmeno – ma per capire se la campagna de Il Fatto sul caso Consip fu perfettamente libera o fu in qualche modo condizionata, e dunque deviata, dall’intervento di alcuni dirigenti della Consip. Tutto qui. Ma perché Travaglio non ce lo vuole dire, e non vuole dirlo ai suoi lettori? Questo ci addolora. Però, capetoste, continueremo a chiederglielo, sicuri che prima o poi ce lo dirà.
