Sea Watch libera, scacco matto al decreto sicurezza

La nave Sea-Watch 3, della omonima Ong tedesca che opera nel mar Mediterraneo per il salvataggio dei migranti, potrà finalmente tornare in mare, dopo oltre cinque mesi di blocco nel porto di Licata. Ad annunciarlo sono stati gli stessi attivisti della no profit: «Abbiamo vinto il ricorso al tribunale civile di Palermo: la Sea-Watch 3 è libera». Il sequestro della nave era stato infatti disposto ai sensi del decreto sicurezza bis, che prevedeva, per motivi di ordine pubblico, la possibilità da parte del ministro dell’Interno di vietare l’ingresso nel mare territoriale a navi che non fossero militari o in servizio governativo non commerciale. L’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva infatti impedito lo sbarco dei 47 migranti a bordo, un atto che gli è valsa anche una accusa per sequestro di persona.

Nell’ambito di quell’inchiesta, la comandante della nave, Carola Rackete, è stata invece accusata di resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e resistenza o violenza contro nave da guerra. I fatti risalenti al mese di giugno di quest’anno e che hanno visto coinvolta la giovane attivista tedesca, prima arrestata e poi liberata perché il gip non ne convalidò il provvedimento, si erano già parzialmente risolti lo scorso 25 settembre. Difatti la Sea-Watch 3 era stata già dissequestrata dal pm della procura di Agrigento, poiché le esigenze probatorie erano ritenute cessate.

Ma l’imbarcazione era comunque rimasta ancorata nel porto di Licata, perché sotto sequestro amministrativo per ripetute violazioni del divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane. La svolta di ieri viene quindi dalla decisione del tribunale civile di Palermo, presieduto da Rachele Manfredi, che non ha preso in esame il merito dell’infrazione al decreto, bensì il fatto che il prefetto di Agrigento non abbia risposto, nei termini previsti di dieci giorni, all’opposizione al provvedimento formalmente presentata dai legali di Sea-Watch. Il sequestro è così da considerarsi decaduto e la Capitaneria di porto di Licata non ha alcun titolo per trattenere ulteriormente la nave, che può ora avviare le procedure per il cambio di bandiera.

Una giornata, quella di ieri, che ha visto grande sensibilità e partecipazione alla causa dei migranti. Mentre Mediterranea Saving Humans ha lanciato una campagna social per la liberazione delle navi umanitarie bloccate nei mari siciliani, papa Francesco ha incontrato 43 rifugiati arrivati da Lesbo e ospitati dalla Santa Sede e dalla comunità di Sant’Egidio. Durante l’incontro, il Papa ha mostrato un giubbotto appartenuto a un migrante anonimo, morto nel Mediterraneo lo scorso luglio, che ha ricevuto come dono. Con questo gesto ha voluto sottolineare l’imprescindibile impegno della Chiesa nel salvare le vite dei migranti, per poi poterli accogliere, proteggere e integrare. «Siamo di fronte a un’altra morte causata dall’ingiustizia – ha detto Francesco – è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre per poi farli morire in mare». Papa Francesco ha fatto poi collocare una croce nell’accesso al Palazzo Apostolico dal Cortile del Belvedere in ricordo dei migranti e dei rifugiati, invitandoli al Vaticano. E poi ha concluso incalzando i politici: «Non è bloccando le navi che si risolve il problema – ha continuato – bisogna impegnarsi seriamente, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili».

Ieri è stata anche la giornata del provvedimento del servizio centrale Siproimi (ex Sprar), emanato su indicazione del Viminale, che ha disposto l’uscita delle persone con permesso umanitario, prevista per il 31 dicembre. «Una comunicazione – commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci – che rischia di mettere diverse migliaia di persone per strada in pieno periodo natalizio». Tempo dell’anno, questo, riconosciuto come ostile non solo per le temperature rigide, ma anche per il rischio di incorrere in servizi comunali erogati a regime ridotto a causa delle festività, specie se si considera che tra le migliaia di persone che corrono il rischio di rimanere in strada ci sono anche famiglie con minori. Miraglia ha poi chiarito: «È un intervento che non tiene conto della recente sentenza della Cassazione, del 13 novembre 2019, che ha definitivamente certificato la non retroattività della legge, che quindi non può applicarsi ai progetti d’accoglienza avviati prima dell’ottobre 2018». Miraglia ha concluso con la richiesta ai comuni di presentare ricorso e di rifiutarsi di attenersi al contenuto del provvedimento, auspicando infine un urgente intervento da parte del governo.