Ci sono almeno due buone ragioni per cui la sentenza della seconda corte d’appello di Milano che ha cancellato le condanne agli ex dirigenti del Monte Paschi di Siena entrerà nella storia. La prima è che, con le assoluzioni dell’ex Presidente Giuseppe Mussari e dell’ex direttore generale Antonio Vigni, implode per l’ennesima volta il mito del rito ambrosiano sulla giustizia, dopo la catastrofe del processo Eni e la guerriglia permanente che ne è derivata. L’altro motivo, ancora più di fondo, è il disvelamento di quanto sia velleitario l’eccesso di giurisdizione che ammorba la democrazia italiana ormai da un trentennio.
La demolizione, mattoncino dopo mattoncino, dei grandi scandali giudiziari italiani, quelli politici come quelli dell’area economica, finanziaria o bancaria, mostra quanto inadeguato e spesso nocivo fosse lo strumento giudiziario per regolare i conflitti. Il Palazzo di giustizia di Milano, quello delle fiaccolate con “Di Pietro facci sognare” e del mito salvifico di una giustizia che avrebbe aggiustato tutto, ne è l’emblema. Con le sue macerie. Nessuno vuol dare assoluzioni morali o politiche e men che meno finanziarie a quei vertici di Mps (e ai loro referenti di partito) con i loro marchingegni costruiti con i derivati per rimediare al disastro economico conseguente all’acquisizione di Antonveneta.
Ma la storia politica del Paese si è costruita anche sul fatto che solo un Pubblico Ministero sia in grado di affrontare ogni problema della società. E di giudicare i comportamenti degli individui. Questo è il vulnus di fondo, insieme a tanta approssimazione e spesso scarsa capacità professionale nelle indagini, che porta poi a sentenze che appaiono come “scandalose”. Inchieste, e a volte anche processi di primo grado, pasticciati e influenzati dalle vigorose “campagne di stampa” e propaganda politica (un po’ di tutte le parti) hanno convinto la gran parte del Paese del fatto che il Sole ruotasse intorno alla Terra. La Terra dei Pubblici ministeri, con una furia accusatoria che non ha eguali nel mondo occidentale.
Pare essere arrivato il momento di una vera rivoluzione copernicana. Sono ormai tanti gli elementi storici che lo dimostrano. È stato quasi liberatorio il grido del professor Tullio Padovani, difensore di Giuseppe Mussari, subito dopo la sentenza, quando ha detto “Questo è il disvelamento di come si esercita il terribile potere di accusa in Italia”, segnalando forse l’inizio della fine di un’intera stagione di processi economici a Milano. Quella stagione aperta, dopo la fase più politica iniziata negli anni novanta con Mani Pulite, dall’ex procuratore Francesco Greco. Oggi indagato a Brescia –paradosso della storia- per una sorta di accanimento assolutorio nei confronti di altri dirigenti, quelli successivi a Mussari e Vigni, del MPS. È la vicenda, che viene dopo quella del “trattamento Eni”, rispetto alla quale vi sono indagini aperte alla procura di Brescia, della “benevolenza MPS”.
Quello che ha portato a uno scontro con la procura generale di Milano, emerso solo dopo il pensionamento di Francesco Greco e prima dell’arrivo di Marcello Viola. Quando il reggente l’ufficio Riccardo Targetti aveva scoperto che alle ripetute richieste di chiarimenti su alcune perizie avanzate dalla pg Gemma Gualdi, la procura aveva fatto orecchio da mercante, non rispondendo neppure alle mail. E proseguendo sulla propria linea innocentista, chiedendo il proscioglimento degli indagati, il presidente Alessandro Profumo e l’ad Fabrizio Viola, in seguito però rinviati a giudizio dal gup Guido Salvini e poi condannati in primo grado. Singolare sorte, quella dell’ex procuratore Francesco Greco, sospettato dal sostituto Paolo Storari di “inerzia” per la storia della loggia Ungheria, e poi dalla procura generale anche di voler proteggere gli uomini del nuovo corso, voluto allora dal presidente del consiglio Matteo Renzi, della banca più antica d’Italia, quella di Siena.
Ma al contempo poi accusato di un vero accanimento rispetto al processo Eni. Potremmo pensare di essere in presenza di normali dinamiche giudiziarie, ovvie in un Paese come l’Italia in cui ci sono tre gradi di giudizio. Ma non è così. E quel grido del professor Mantovani che qualificava come “terribile” il potere di accusa per come si è realizzato in questi anni, è un atto di denuncia di quel che ha permeato tutta quanta la società, apparsa in gran parte come criminale e in cui ogni comportamento diventava reato. Il tutto sotto l’ombrello del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Usato come un elastico, per accanirsi o per esercitare benevolenza. Quindi in violazione dello spirito della Costituzione. È questa la vera “terribilità” che si sta squagliando come neve al sole dopo sentenze come quella dell’appello di MPS. Che sta già entrando nella storia.
