Sentimento filo-palestinese nel Regno Unito, Adam Levick: “Starmer riconoscerà lo Stato per paura di perdere consenso. Va dove tira il vento politico”

KEIR STARMER PRIMO MINISTRO INGLESE

«Il sentiment filo-palestinese nel Regno Unito non è solo legato alla comunità islamica. È un passepartout della sinistra radicale». Adam Levick è co-editor del think tank Camera Uk (Committee for Accuracy in Middle East Reporting and Analysis), che da oltre quarant’anni monitora i casi di pregiudizi e attacchi frontali contro Israele e il mondo ebraico. «Facciamo qualcosa di concreto – spiega – e i media ci prendono sul serio. Abbiamo anche un dipartimento che lavora con gli studenti pro-Israele nei campus universitari, per contrastare l’attivismo anti-Israele e l’antisemitismo nei college».

Nelle ultime settimane, ha destato scalpore il progetto di Zarah Sultana e Jeremy Corbyn di creare un partito alla sinistra del Labour, con un’identità sia marxista sia islamica. Quanto è reale e quanto è una speculazione mediatica?

«Direi che è cosa fatta. Entrambi, Sultana e Corbyn, sono stati molto chiari sul fatto che sarà un partito socialista, con una forte anima filo-palestinese. È un’iniziativa che rispecchia in maniera perfetta il manuale politico di Corbyn. Quindi non ho dubbi sulla sua nascita».

Falce&martello e Corano hanno già provato a convivere. Non però sul suolo britannico. Che tipo di elettorato punta ad attrarre un partito del genere?

«Francamente, che tu sia filo-Gaza o filo-Hamas, che tu sia socialista o no, poco importa. È la naturale evoluzione dell’alleanza rosso-verde. Sultana e Corbyn stanno cercando di sfruttare l’insoddisfazione per la politica laburista su Gaza, che, a loro modo di vedere, non è sufficientemente filo-palestinese, per poi avanzare una proposta di sinistra radicale anche su altre tematiche».

La guerra a Gaza sta avendo un impatto particolarmente profondo e divisivo sulla politica britannica. Quanto è strumentale però a fini di politica interna inglese?

«Abbiamo visto Keir Starmer annunciare che a settembre riconoscerà lo Stato palestinese. Penso sia motivato in gran parte dalla paura di perdere l’ala sinistra del Partito Laburista. Per i cosiddetti hard-left, Gaza è la questione più importante in assoluto. Finora, Starmer ha cercato di mantenere una certa moderazione. La fronda interna però, almeno quella composta da chi odia Israele, lo ha spinto a fare quell’annuncio. D’altra parte, così si finisce per incentivare Hamas a non accettare un cessate il fuoco, perché comunque sta ottenendo quello che vuole dai governi occidentali».

Quanto c’è di opportunistico e quanto di sincero nella promessa di Downing Street?
«Non credo che Keir Starmer sia un politico fortemente ideologico. In questo anno di lavoro, il suo esecutivo ha mantenuto una linea generalmente moderata. Tuttavia, non dimentichiamo che Starmer è stato il ministro ombra per la Brexit sotto Corbyn (2016-2020, ndr). Solo dopo che il Labour è stato sanzionato per antisemitismo dalla Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani, si è staccato da quelle posizioni estremiste di Corbyn e ha avviato una riforma di tutto il partito. C’è del pragmatismo in lui, quindi. Ma è un modo di affrontare i temi limitante, che lo porta ad andare dove tira il vento politico del momento. Da qui il sostegno alla causa palestinese oggi».

Cosa pesa di più? L’interesse a restare in linea con Macron, il primo tra i grandi leader europei ad aprire allo Stato palestinese, oppure tenere tranquilla la comunità islamica in patria?

«Macron non c’entra nulla. Sono i sondaggi a rispondere. Corbyn è intorno al 10% dei consensi. Sta rubando elettori al Labour. Nel frattempo, c’è Farage e il suo Reform Party che, da destra, erodono sia i tory sia i laburisti. Quindi no, credo che il suo sia un tentativo di anticipare il sopraggiungere di questo nuovo partito politico».

È un bel salto di posizionamento, però. Un tempo il Labour era considerato amico di Israele.

«Tutto ha inizio con la vittoria di Jeremy Corbyn, nel 2015, come leader del Labour. D’altra parte, sia nel Regno Unito sia in Europa, stiamo assistendo a una perdita di peso del centro a favore delle ali estreme. La sinistra radicale è riuscita a ispirare gli elettori, a infiammarli. Si tratta di una percentuale relativamente piccola della popolazione, ma che considera Israele e Palestina come la questione più importante. Purtroppo, questo sta danneggiando non solo Israele, ma anche la comunità ebraica del Regno Unito (circa 300mila persone, ndr). Ed è per questo che stiamo assistendo a quella che chiamo la terza ondata di antisemitismo, iniziata solo nel 2015 con Corbyn, quindi ben prima del 7 ottobre 2023».

Un fenomeno che ormai dilaga in tutta Europa.

«Il motore principale cova negli attivisti filo-palestinesi, non soltanto nelle comunità islamiche. Sono elettori di varia confessione che hanno alzato la voce negli ultimi dieci anni. Le istituzioni non si sono confrontate con le cause del problema. Non l’hanno affrontato. Così adesso un ebreo del Regno Unito non si sente al sicuro come uno in Europa continentale».