Il garantista ostinato
Separazione carriere, Costa: “Riforma storica, oggi la condanna la fa il Pm che la esegue con i giornali. Arrivano due Csm e il sorteggio qualificato”
Approvato il testo che cambia l’ordinamento giudiziario: più forza al giudice, meno spazio alle correnti
La separazione delle carriere si avvia a diventare legge con un testo approvato definitivamente. La riforma è passata al Senato nel pomeriggio di ieri tra il giubilo della maggioranza, Forza Italia in testa, e le grida manzoniane delle opposizioni – con l’eccezione di Azione – in cui la presunzione di garantismo ha pagato dazio alla posa ideologica. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Enrico Costa, del gruppo di Forza Italia, già ministro con Renzi e Gentiloni. Costa è tra i legislatori più prolifici in tema di riforme dell’ordinamento giudiziario e può essere considerato a buon diritto tra i padri di questa riforma.
È stata appena approvata la separazione delle carriere. Una grande soddisfazione per chi ci lavorava da anni…
«Certo, intanto, grande soddisfazione per quella che vorrei definire una giornata storica. Questo provvedimento, a differenza di quello che dicono i detrattori, non è affatto stato approvato precipitosamente, ma è maturato nel corso non solo degli ultimi anni, ma delle ultime legislature».
Diciamo che essendo in seconda lettura il testo non era più emendabile, si poteva solo votare.
«Il tema della separazione delle carriere è stato all’ordine del giorno, e a lungo dibattuto, per intere legislature. Nella scorsa legislatura c’era stato addirittura un approdo in Aula, poi ritornato in Commissione, sul testo dell’Unione Camere Penali, approvato dalla proposta di legge di iniziativa popolare, e ancora prima. Già durante i governi Berlusconi era un tema affrontato con impegno».
Una vittoria storica, ma non è finita qui: manca la lettura ultimativa e il passaggio referendario…
«Adesso è un testo consolidato che dovrà passare dalla Camera e dal Senato per l’ultimo passaggio e poi ci sarà la consultazione, il referendum confermativo, sulla quale auspichiamo veramente che ci possa essere un dibattito nel Paese».
Come funzioneranno i due Csm?
«I due Consigli non saranno elettivi. Saranno composti per un terzo da membri laici e per due terzi da togati; i primi saranno estratti a sorte da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento in seduta comune; i secondi saranno sorteggiati tra tutti i magistrati, giudicanti e requirenti».
Un cambio di passo culturale, quali sono i punti fondamentali?
«Per prima cosa, va rafforzato il ruolo del giudice: deve essere colui che decide. Purtroppo nel nostro sistema a decidere non è più il giudice, ma la vera condanna mediatica la fa già il Pubblico Ministero a termine delle sue indagini. Il giudice durante le indagini non esiste, non compare, fa come l’opossum che si finge morto, perché il Pubblico Ministero ha il rapporto con i giornali, il rapporto con l’opinione pubblica attraverso i media e se tu osi da giudice dire al Pubblico Ministero che ha esorbitato dalle sue funzioni o che alcune cose che ha fatto non doveva farle, come giudice rischi la carriera, vieni schiacciato».
Lo abbiamo visto a Milano: un giudice che ha negato degli arresti è stato denunciato dal punto di vista penale e disciplinare.
«E quindi il dominus della fase delle indagini oggi non è il giudice, ma il Pubblico Ministero. Non parliamo della difesa che è completamente assente durante la fase delle indagini, ma perché io parlo delle indagini? Perché oggi le indagini sono la fase in cui si consolida la lesione della reputazione della persona che entra nell’ingranaggio giudiziario e che anche se dopo qualche anno ne esce da innocente, ha quel fango che non riesce più a scrollarsi di dosso».
Il secondo punto qualificante della Separazione delle carriere?
«Il tema del magistrato più bravo che deve fare più carriera del magistrato meno capace».
Non sarebbe poco.
«Oggi invece chi fa più carriera è il magistrato voluto dalle correnti. Scelgono loro chi deve fare strada e chi deve fare carriera e molto spesso troviamo quello più capace che viene scavalcato da quello più correntizzato: avviene nelle nomine, nelle valutazioni del giudice di carriera, anche sul piano disciplinare, perché abbiamo visto della tolleranza in molte pronunce della sessione disciplinare. Non parlo di questo mandato devo dire che Pinelli si è impegnato molto, ma in passato abbiamo visto sezioni disciplinari che gridavano vendetta».
Come interviene la nuova legge?
«Adesso avremo il sorteggio dei togati e della corte disciplinare, perché i provvedimenti disciplinari possano essere analizzati e valutati secondo le regole e non secondo il principio della tolleranza e del perdonismo, perché dobbiamo avere anche una giustizia che ha la consapevolezza che quando il giudice sbaglia questo viene sanzionato. Oggi non è così, il giudice è libero di sbagliare, di fare ciò che vuole: non viene sanzionato!»
La vera opposizione a questa riforma non mi sembra sia venuta da Pd o 5 Stelle, ma dalla magistratura stessa…
«Sì, e questo è qualcosa che lascia veramente l’amaro in bocca, perché l’autogoverno della magistratura dovrebbe occuparsi ovviamente di temi interni, previdenziali, legati alle ferie, agli stipendi. Se davanti a una riforma politica del sistema la magistratura indice una serie di scioperi e dirò di più, diventa il motore che muove l’area del dissenso, siamo al cortocircuito istituzionale».
Cosa dice ai riformisti del Pd, che hanno votato contro, e a IV che si è astenuta?
«Secondo me hanno sbagliato, avrebbero dovuto valutare la portata di questa riforma, ovviamente si sono concentrati su alcuni profili che non li convincevano all’interno della riforma. Mi sembra che il Partito Democratico sia un po’ in imbarazzo, perché molti suoi esponenti in passato si sono inseriti favorevoli alla separazione delle carriere».
© Riproduzione riservata







