Toghe in agitazione
Separazione delle carriere, il sistema “PM-centrico” che la magistratura non vuole mollare
L’approvazione in terza lettura della riforma dell’ordinamento giudiziario è ovviamente una buona notizia per chi attende da essa l’allineamento dell’Italia a tutte le più importanti democrazie occidentali. Gli avversari di questa riforma sono abili nel caricarla di significati ideologici che, semplicemente, non le appartengono. Sono piuttosto loro che dovrebbero spiegare ai cittadini la ragione per la quale l’Italia dovrebbe rimanere pressoché l’unico Paese del mondo democratico con un processo penale di tipo accusatorio e un ordinamento giudiziario a carriere unificate. Siamo nella mesta compagnia di Romania, Turchia e Bulgaria; perché la Francia ha sì le carriere unificate, ma in perfetta coerenza con il suo sistema processuale di tipo inquisitorio: l’eccezione che conferma la regola.
La cultura inquisitoria
Processo inquisitorio come era il nostro, d’altronde, quando fu scritta la Costituzione, che per conseguenza immaginò le carriere unificate di giudici e pubblici ministeri. Per l’ANM e l’intero fronte del NO, la Costituzione è ferma al 1945, mentre la riforma dell’art. 111 – con l’affermazione del giusto processo, appunto di rito accusatorio – sembra non riguardarli. Di qui l’ossessiva ripetizione di un altro sproposito, e cioè che questa riforma sarebbe un “attentato alla Costituzione”; e ciò per la semplice ragione che la magistratura italiana ha subìto la riforma dell’art. 111 come un oltraggio, rispetto al quale operano dunque una vera e propria rimozione freudiana. E perché questo? Ma è molto semplice. La magistratura italiana, in netta prevalenza, coltiva una cultura inquisitoria; quella per la quale la prova si forma nella fase delle indagini, con il solo vaglio da parte di quella figura ibrida che era il giudice istruttore, senza soverchie, fastidiose interlocuzioni del difensore. Chiuse le indagini, il grosso è fatto, mentre al dibattimento è riservato un compito residuale e limitato di verifica del buon lavoro fatto dagli inquirenti.
Un sistema pm-centrico
Non è certo un caso, d’altronde, che la magistratura italiana sia rappresentata associativamente, culturalmente e mediaticamente dalla figura del PM, non certo da quella del giudice. È dunque un solido assetto culturale e di potere, questo “PM-centrico” e non “Giudice-centrico”, che la magistratura italiana – o per meglio dire, la sua rappresentanza politica e associativa – non vuole mollare; ecco perché strepita – mentendo – di attentato all’indipendenza del PM. In realtà, la riforma afferma solennemente l’indipendenza del PM “da ogni altro potere” (art. 104 Cost), e loro lo sanno bene. Ma con questo ossessivo allarme, il fronte del NO mostra in realtà di cogliere ciò che la riforma certamente ha come obiettivo: porre fine a quell’assetto di potere, riequilibrando il peso specifico della magistratura inquirente rispetto al potere (e dunque alla “indipendenza interna”) della magistratura giudicante. Noi non vogliamo altro che il cittadino sia garantito nei suoi diritti da un giudice più forte; da un giudice certamente indipendente dalla politica, non meno però che indipendente dalle Procure della Repubblica.
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