L'intervista
Separazione delle carriere, l’ex giudice Castiglia: “Negli Stati liberali funziona così. Nessun attentato alla democrazia. Il sorteggio? È la chiave di svolta”
Il parere di chi ha svolto la funzione per circa 23 anni, di cui quasi 15 come GIP tra Termini Imerese e Palermo
La funzione del Giudice per le Indagini Preliminari è tra le più delicate per garantire la necessaria distanza, imparzialità e terzietà nei rapporti con il pubblico ministero. È proprio nella fase delle indagini preliminari che l’interlocuzione tra pubblico ministero e giudice è particolarmente intensa ed in parte fisiologicamente “esclusiva”, imponendo al giudice la massima attenzione nell’esercizio corretto della giurisdizione: ecco perché è particolarmente utile questa conversazione con il dott. Castiglia.
Mi pare vi sia una diffusa tendenza tra gli oppositori della riforma ad una falsa rappresentazione dei contenuti della legge costituzionale sulla separazione delle carriere. Invocano la “difesa della Costituzione” ed accusano il Governo di voler sottoporre il pubblico ministero al controllo del potere esecutivo. Eppure il principio affermato dal nuovo art. 104 della Costituzione è lapidario: “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
Concordo. Una legge si valuta per quello che stabilisce, non per le intenzioni, più o meno reali, di chi la promuove o la vota. In tanti, incredibilmente anche tra le fila del “sì”, spacciano i propositi di alcuni per la Riforma approvata dal Parlamento. Può essere una tattica da propaganda ma è disinformazione. Il testo che sarà sottoposto al Referendum non subordina in alcun modo il PM all’Esecutivo ed è pura fantasia chiromantica l’affermazione secondo cui la separazione delle carriere disegnata dalla Riforma sarebbe il primo passo in tale direzione. Semmai, è vero esattamente il contrario. La Riforma formalizza solennemente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura requirente, al pari di quella giudicante, e in tal modo scongiura la possibilità che si vada in direzione opposta: occorrerebbe un’altra riforma costituzionale che annulli quella appena approvata, il che non solo è fortemente inverosimile e comunque impossibile in questa legislatura ma, soprattutto, è un tema diverso da quello all’ordine del giorno e chiamarlo in causa serve solo a confondere le acque.
Non le sembra fisiologico al processo accusatorio e funzionale ad un moderno Stato di diritto che il giudice appartenga ad una categoria ordinamentale diversa da quella del difensore e del pubblico ministero?
Non so, sinceramente, se la separazione sia meglio dell’unione delle carriere di giudici e PM. Entrambe hanno pro e contro. Una cosa, però, è sicura: la separazione delle carriere è una scelta politica assolutamente legittima, con solidissime basi logico-giuridiche, e certamente non è un attentato alla democrazia e tanto meno allo Stato di diritto. È presente nella stragrande maggioranza degli Stati liberali ed è funzionale – senza dubbio più dell’unione – alla piena esplicazione del diritto a un giudice terzo, che è un connotato essenziale del processo accusatorio.
Non crede che un giudice appartenente ad una carriera distinta da quella del pubblico ministero (diversità di meccanismi interni di avanzamento di carriera, di nomina dei capi degli uffici, di valutazione di professionalità) consenta di garantire una maggiore legittimazione, anche formale, del magistrato giudicante ad esercitare la giurisdizione, ponendolo autorevolmente in una posizione di equidistanza dalle parti? Non è un modo per garantire un alto “rating reputazionale” del giudice?
Credo che il problema non sia il basso “rating reputazionale” del giudice ma un forte deficit di conoscenza che produce vari effetti negativi, tra i quali una diffusa inconsapevolezza circa la differenza tra un’ipotesi di reato e un’accusa, tra un’accusa e un accertamento giudiziale, tra quest’ultimo e la realtà storica. Mi lasci dire che, francamente, per superare questo problema a ben poco possono servire gli interventi normativi. Occorrerebbe, invece, uno sforzo individuale e collettivo di apprendimento, di informazione, di obiettività e di moderazione. Peraltro, è probabile che, in un contesto in cui tutti ci si sforza in questo senso, un assetto ordinamentale dei giudici separato da quello dei PM possa concorrere, alla lunga, alla formazione di una comune coscienza che non indulga all’enfatizzazione dei risultati parziali di un procedimento penale e che consenta di percepire chiaramente, tra l’altro, la fondamentale differenza tra un’accusa e una sentenza.
La riforma prevede il sorteggio della componente togata dei due CSM. Il Prof. Enrico Grosso, Presidente del Comitato per il No, ha affermato che il meccanismo elettivo consente oggi la selezione dei “migliori”. Il quadro attuale ci restituisce invero uno scenario completamente diverso, con nomine veicolate dalle “correnti” interne della magistratura in prospettiva spartitoria e non meritocratica. Cosa ne pensa?
Concordo anche su questo punto. Il sorteggio dei componenti del CSM, anzi dei due CSM, è la vera chiave di volta di un ordinamento giurisdizionale che, finalmente, possa essere davvero in linea con gli attuali princìpi costituzionali in tema di giurisdizione, oggi minacciati e compromessi da una partitocrazia in toga che, tradendo lo spirito della Costituzione e le sue stesse basi ideali, da decenni occupa le istituzioni giudiziarie “con note di pesantezza sconosciute anche in sede politica”. Per il “no” al sorteggio si recitano dei mantra: la selezione a sorte sarebbe un’umiliazione punitiva dei magistrati, implicitamente additati come incapaci di scegliersi i propri rappresentanti; senza elettività, indicata come fonte di prestigio della carica e di responsabilità per la funzione esercitata, si impedirebbe la scelta dei “migliori”. In breve, un CSM di sorteggiati perderebbe autorevolezza e sarebbe inadeguato, di fronte a una politica male intenzionata, ad adempiere al compito di tutela dell’autonomia e indipendenza della Magistratura. Oltre che fallaci, queste affermazioni non tengono conto della natura e della funzione del CSM. Invero, non tengono conto neppure della realtà, che ci restituisce un CSM la cui autorevolezza è progressivamente scaduta nel tempo. Il Consiglio non è un soggetto politico, ché giammai avrebbe potuto avere al vertice il Presidente della Repubblica, ma è un organo di amministrazione istituito per depoliticizzare la giurisdizione e, correlativamente, per sottrarre i magistrati al controllo del Governo. Ai componenti del CSM non fa capo una rappresentanza di interessi o di orientamenti ideali ma una rappresentatività categoriale: l’art. 104 della Costituzione vuole che i componenti togati del CSM siano “appartenenti alle varie categorie” di magistrati e non, come oggi, purtroppo, sono divenuti, appartenenti alle diverse correnti. È chiaro, quindi, che l’idea secondo cui i componenti del CSM siano rappresentanti dei magistrati è semplicemente sbagliata. Lo ha detto, in più occasioni e in tempi non sospetti, la Corte costituzionale.
E l’elezione conferisce più credito e peso specifico ai componenti del CSM rispetto al sorteggio?
Resta un mistero la ragione per la quale il voto dovrebbe conferire più prestigio del sorteggio, incorre in un evidente errore chi ritiene che l’attuale elettività dei membri del CSM sarebbe funzionale a farli rispondere della funzione esercitata. I componenti del CSM non sono affatto chiamati a rispondere dell’esercizio della loro funzione al corpo elettorale. Tale idea, oltre a contrastare con l’evidenziata natura non politica del Consiglio, è radicalmente smentita dal divieto costituzionale di rielezione. Il sorteggio non umilia affatto i magistrati, al contrario li valorizza perché riconosce a ciascuno di loro la dignità e la possibilità di concorrere effettivamente al cosiddetto “circuito dell’autogoverno”. Come non condividere, al riguardo, le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Occorre recuperare la consapevolezza che fra i doveri di ciascun magistrato rientra l’attiva partecipazione al governo autonomo della Magistratura in ogni sua articolazione”. L’adempimento di tale dovere è oggi ostacolato da un sistema oligarchico che relega i singoli magistrati a passivi recettori delle dottrine e determinazioni delle élite correntizie. Quanto all’idea che il voto selezioni i “migliori” consiglieri del CSM, essa è senza fondamento razionale e, mi lasci dire, è pure radicalmente smentita dall’esperienza. L’autorevolezza dell’autogoverno può solo essere rafforzata dalla sua liberazione dal giogo partitico-correntizio, che ha condotto il CSM alla stagione della “modestia etica”. Valgono, ancora, le parole del Presidente della Repubblica: “Il compito primario assegnato dalla Costituzione al CSM impone, in modo categorico, che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della Magistratura nell’interesse generale”. Un CSM di sorteggiati, secondo razionali criteri di conoscenza ed esperienza, stabiliti dalla legge, può rispondere a tale compito molto meglio di un CSM di “eletti” secondo i programmi a lungo termine dei partiti togati.
E cosa pensa invece del terzo pilastro della Riforma, l’Alta Corte?
Il giudizio sulla Riforma di un determinato assetto normativo non può essere assoluto ma deve essere necessariamente comparativo. In questa prospettiva, a mio modo di vedere, anche in relazione all’istituzione dell’Alta Corte, la Riforma merita un “sì”. Rispetto all’assetto odierno, infatti, un’Alta Corte prevista in Costituzione e nettamente distinta dagli organi di amministrazione consentirebbe di superare la macroscopica violazione del divieto di istituire giudici speciali e, soprattutto, di attribuire carattere di imparzialità e terzietà anche al giudice disciplinare dei magistrati.
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