Sicilia: una regione sempre più isolata. Anche con il Ponte sullo Stretto

Qualche giorno fa avevamo scritto del dualismo tra Raffaele Lombardo e Salvatore Cuffaro che bloccava l’isola da trent’anni, ma ovviamente questa è solo una metafora del sistema politico siciliano. La verità è che l’intera isola rimane stagnante, con la stessa classe dirigente in tutti i partiti e in tutte le contrade, da troppo tempo. È un fenomeno territoriale italiano, che però in Sicilia, anch’essa metafora del Paese, assume una rappresentazione più evidente.

Sicilia stagnata

L’origine di questa stagnazione, anche di natura generazionale, la possiamo datare nel 1994, punto di svolta tecnico elettorale, oltre che politico, del sistema-paese. Il Mattarellum e le altre leggi maggioritarie, oltre a cambiare il modello di rappresentanza, hanno bloccato sul territorio la classe dirigente di maggiore consenso e rappresentanza, perché disturbavano terribilmente coloro che avevano in mano i partiti. Così la classe dirigente locale, eletta con le preferenze, si è sganciata da quella nazionale, creando una crasi tra realtà, comunità e modelli decisionali. In più si è creato un blocco in ascesa, che ha convinto la generazione politica nata negli anni ’50 a rimanere sull’isola, nelle posizioni di vertice possibilmente, perché andando, “salendo” (si dice in Sicilia) a Roma potevano perdere il consenso, il patrimonio politico maggiore.

Non tutti hanno seguito questa vocazione, al di là di Mattarella, politico nato negli anni ’40 asceso al vertice più alto della Repubblica, anche Angelino Alfano, tre volte ministro di peso, ha preferito Roma all’isola. Questa scelta fatta da Lombardo e Cuffaro, ma non solo loro, vedi in parte Orlando, Bianco, Stancanelli, De Luca e diversi altri, sgancia in termini di partecipazione e rappresentanza la Sicilia dal resto del paese, e viepiù la condanna a una visione che si guarda l’ombelico, piuttosto che le trasformazioni del mondo. Una cosa è avere a Roma un Crispi, uno Scelba, un Mannino o un Martino, altra cosa è non averci nessuno, essere solo esclusivamente un granaio elettorale senza rappresentanza.

Una Sicilia che non crea ponti

Se l’Italia è provinciale, la Sicilia è isolata, più che isolana. Una Sicilia che non crea ponti, a parte quello del milanese Salvini, culturali e sociali. Non crea politica, né in Italia né nel Mediterraneo, ma rimane in una sterile ambientazione e narrativa feudale, legata a blocchi di consenso locale che spesso non sono i più favorevoli al cambiamento, ma solo alla protezione o conservazione. Questo modello non fa crescere realmente l’isola, che oggi si glorifica di un’economia di guerra e di protezionismo. Non cresciamo sul digitale, pur avendo potenzialità, né sulla Next Generation UE, su cui ci sono ingenti risorse, ma solo su settori tradizionali, specifici di realtà isolazioniste.

Il tanto decantato turismo siciliano ha numeri inferiori a quelli di Malta o delle Baleari, luoghi con una popolazione, e con un patrimonio naturale e culturale, enormemente inferiore. In un mondo che vive in connessione planetaria, noi politicamente è come se avessimo una intranet interna, che ripete gli stessi post e claim da decenni. In parlamento nazionale si parla di ripristinare il proporzionale che, però, se rimarrà senza preferenze e a liste bloccate, non solo diminuirà la rappresentanza, ma lascerà la Sicilia sempre isolata. Qui sull’isola con coloro che, pur invecchiando, determinano le scelte locali, e a Roma con personale dirigente senza volto e rappresentanza politica. Possono pure costruire il Ponte dello Stretto in sei mesi, come i cinesi, ma rimarremo sempre isolati. A guardarci l’ombelico.