Il carretto passava per strada e gridava “gelati”. Così cantava Lucio Battisti e in Sicilia, terra di invenzione del gelato di origine araba, ai carretti siamo affezionati, soprattutto se hanno cose “duci” da proporre. La Sicilia ha nell’immaginario collettivo, universalmente riconosciuto, la caratteristica del folklore. Siamo un popolo folk, sia nelle sue basi sociali e popolari che in quelle apicali. Parliamo degli apici a proposito dell’ultima notizia folkloristico-politica che viene dalla Sicilia.

Il dietrofront di “Scateno” De Luca

Uno dei candidati delle scorse elezioni regionali, colui che era arrivato secondo dietro Schifani, lanciando fuoco e fiamme contro il sistema cinico e baro che inchiodava l’Isola all’arretratezza, Cateno detto “Scateno” De Luca dichiara candidamente di aver deciso di andare a scuola di politica dal presidente che lo ha battuto, per le sue capacità politico-istituzionali. Tradotto in linguaggio normale: Schifani è stato più bravo di lui a costruirsi una coalizione vincente, mentre lui è andato da solo. Ora Cateno vuole essere cooptato dallo stesso sistema che aveva messo all’indice. È un caso isolato, una sindrome particolare? Assolutamente no: è una patologia diffusa nell’Isola quanto il diabete, vista la quantità di zuccheri, gelati, cannoli e cassate che vediamo a ogni angolo.

Tutti i perdenti con Schifani

Anche gli altri due “avversari” alle regionali contro Schifani, Caterina Chinnici e Gaetano Armao, sono passati con il governatore; una candidandosi nel partito dello stesso, l’altro diventandone addirittura il consulente. Esistono casi simili in altre Regioni italiane? Che tutti i candidati contro poi passino, colpiti come Paolo sulla via di Damasco, al lato vincente? Non uno, addirittura tre su tre. Voi penserete che la cosa si limiti a una questione di prebende, ma non è solo così. È una questione di sopravvivenza sociale: se uno perde, non sta dalla parte del vincitore, in Sicilia non viene salutato manco dal portiere dello stabile; il fornaio ti guarda con la condiscendenza che si dà agli scimuniti, e non puoi entrare in un bar per un caffè nemmeno per sbaglio, tutti si darebbero di gomito facendo allusioni che ti metterebbero in ridicolo, come quella del pidocchio che si faceva grande con la tosse.

Sul carro vincente si deve salire

Il siciliano non vuole perdere nemmeno ammazzato, piuttosto morto che perdente, lui non è un “fissa” e non vuole comunque passarci. Lui, di riffa o di raffa, sul carro vincente ci deve salire. Che poi chi lo sente a quel “babbo” del proprio cognato, che non ha mai azzeccato una cosa di lavoro in vita sua, che può estrarre la scheda del voto elettorale vincente foriera di chissà quali benedizioni celesti. Ovviamente con tutto quello che ci si era detto prima, tra patenti di mafia e antimafia parolaia, incompetenze e truffe, velleità, chiacchiere e distintivo, il carro del vincitore diventa variopinto e pieno di specchietti per le allodole. L’esatta riproduzione di quei carretti siciliani che siamo abituati a vedere nelle sagre folkloristiche di paese o nei negozi per souvenir ai turisti.

Il carro in Sicilia passa sempre prima o poi, e tutti si illudono di poterci salire, perché ognuno ha un amico che è amico di colui che ci può far saltare sul predellino. Questo, è ovvio, per un periodo limitato e transeunte, come è il potere nell’Isola, abituata a un feudalesimo che non conosce e riconosce Re, ma solo temporanei Viceré, come quello magistralmente descritto da De Roberto. Avanti un altro: sul carro in teoria c’è sempre posto. Per andare dove non si sa, ma non è la meta l’importante, ma dove si fa il viaggio.