La Commissione Europea sta lavorando alla revisione della Direttiva sulle Accise del Tabacco (TED), un provvedimento atteso con forte impatto economico e sanitario. L’obiettivo è armonizzare la tassazione sui prodotti tradizionali e alternativi, ma le nuove aliquote minime sollevano critiche. L’eurodeputato Pietro Fiocchi (ECR) spiega le criticità del testo e i rischi per la filiera italiana.
Con quali criteri la Commissione europea sta intervenendo sulla revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti del tabacco?
«Purtroppo la Commissione europea ha deciso di adottare un approccio estremamente restrittivo. Come abbiamo già visto con la Raccomandazione del Consiglio sugli ambienti liberi dal fumo, si continua ad ignorare il parere di esperti indipendenti, di scienziati, ma anche di consumatori che sostengono il ruolo che i prodotti alternativi hanno nell’aiutare i fumatori a smettere.
Proporre aliquote minime elevate per prodotti come le bustine di nicotina, nonostante le evidenze scientifiche dimostrino che sono molto meno dannose rispetto alle sigarette, rappresenta un passo nella direzione sbagliata. Ciò contraddice la posizione più volte espressa dal Parlamento Europeo, che ha riconosciuto il potenziale di alternative come il vaping nel supportare la cessazione dal fumo e contribuire agli obiettivi di salute pubblica dell’Ue. In Svezia, per esempio, dove i tassi di fumo sono i più bassi dell’Ue, il Ministro delle Finanze ha già respinto con forza la tassa elevata sulle bustine di nicotina proposta dalla Commissione. La Commissione deve tener conto della posizione del Parlamento e del crescente corpo di prove scientifiche. Un approccio più equilibrato e basato sull’evidenza è essenziale se vogliamo seriamente ridurre i tassi di fumo in Europa».
È corretto secondo lei come la Commissione sta intervenendo, in particolare con riferimento al trattamento fiscale dei prodotti di nuova generazione rispetto al fumo tradizionale?
«Penso che l’approccio adottato dalla Commissione Europea in questa proposta sia sostanzialmente errato. Prima di tutto, per quanto riguarda le sigarette tradizionali, l’aumento proposto dell’aliquota minima d’accisa è senza precedenti, con un incremento del 139%. Questo avrà un impatto significativo su Paesi come Italia, Bulgaria e Croazia, dove i prezzi al dettaglio aumenteranno in modo considerevole. La conseguenza più probabile sarà un aumento drastico del commercio illecito, minando sia la salute pubblica che la stabilità fiscale.
In secondo luogo, collegare la Direttiva sulle Accise del Tabacco al sistema delle Risorse Proprie dell’Ue rappresenta un pericoloso precedente per la sovranità fiscale degli Stati membri. Le entrate da tabacco costituiscono una componente critica dei bilanci nazionali, e questa proposta rischia di destabilizzare tale equilibrio. Si tratta di una misura a breve termine che manca di una vera valutazione d’impatto. In tal modo, la Commissione ha chiaramente ignorato i propri principi di better regulation, pensati proprio per garantire politiche basate su dati concreti e trasparenza. Riguardo le nuove categorie di prodotti, accolgo positivamente l’approccio più ragionevole adottato verso il tabacco riscaldato e i prodotti da svapo, che è in linea con i principi del cosiddetto harm reduction, ovvero la Riduzione del Danno da Tabacco, piuttosto che con l’obsoleta filosofia del “smetti o muori”. Questo principio è stato peraltro elaborato a lungo durante i lavori della Commissione speciale BECA, impegnata nella lotta contro il cancro e di cui sono stato membro attivo. Nel Gruppo ECR, sia in Consiglio che in Parlamento, lavoreremo per costruire una posizione forte e unita per modificare questa proposta. Così com’è, non sostiene i nostri obiettivi di salute pubblica e non riflette la direzione politica basata sull’evidenza scientifica di cui abbiamo bisogno».
Quali potrebbero essere le conseguenze sul mercato italiano, considerando l’importanza economica della nostra filiera del tabacco?
«Se la proposta dovesse passare così com’è, gli aumenti massicci avranno un forte impatto sui tabaccai, che probabilmente vedranno le proprie vendite spostarsi verso il commercio illecito. Questo è già un problema in Italia e in molti altri Paesi, in particolare quelli con confini con Stati extra-Ue. Questi aumenti non faranno altro che peggiorare la situazione. L’ultimo rapporto KPMG dimostra che il commercio illecito rappresenta già il 9,2% del consumo totale. La proposta della Commissione introduce inoltre misure sul tabacco grezzo, che rappresenteranno una sfida significativa per gli agricoltori e i trasformatori di tabacco in Italia. L’Italia è il principale produttore di foglie di tabacco in Europa e ospita anche attività di trasformazione. Sono circostanze da considerare debitamente».
Esistono best practices internazionali che secondo lei si potrebbero studiare per bilanciare gli interessi di filiera con la tutela della salute?
«Esistono best practices internazionali comprovate, che la Commissione Europea conosce bene e che dovrebbe considerare seriamente come direzione politica lungimirante. Paesi come la Svezia e il Regno Unito hanno dimostrato che rendere accessibili e convenienti le alternative al fumo può ridurre significativamente i tassi di fumo, anche attraverso un trattamento fiscale adeguato.
E poi c’è il caso del Giappone, dove le vendite di sigarette tradizionali sono diminuite drasticamente poiché le scelte dei consumatori si sono orientate verso prodotti alternativi al tabacco.
La vera domanda è: perché la Commissione continua a dare priorità all’ideologia anziché alle evidenze? È tempo di esplorare soluzioni politiche che stanno già dando risultati. Nel Gruppo ECR, siamo impegnati a migliorare la salute pubblica attraverso decisioni basate sulla scienza e sui risultati concreti, non sull’ideologia».
