Il ricorso presentato al Tribunale di Bologna dal sindacato Filcams- Filte Nidil CGIL contro l’uso, ritenuto discriminatorio, dell’algoritmo Frank da parte della piattaforma che consegna il cibo Deliveroo solleva molti interrogativi che non possono essere racchiusi solo in una vertenza sindacale, ma che riguardano il rapporto tra società, tecnologie digitali e tutela della libertà delle persone. Non cambia solo l’organizzazione del lavoro, ma stanno mutando gli universi di riferimento che avevamo organizzato e tramite i quali si agiva e si comunicava. È un mutamento molto profondo che richiede il superamento dei paradigmi su cui si era costruita la presenza sindacale.
Stiamo passando ad un’altra era sociale sempre più modellata dalla conoscenza e dall’informazione: l’area “ambient-digital”. Si è venuto a creare un “ambiente digitale” che oltrepassa la divisione naturale tra il fisico e l’universo on line. Siamo ormai immersi in un fiume di informazioni che riguardano tutte le nostre attività, sia private che professionali. È come se oltre l’aria che ci circonda e che ci consente di vivere, si fosse creata una nuova atmosfera: ogni giorno la nostra mente e il nostro corpo inspirano ed espirano informazioni e generano dati. Siamo circondati da un’intera rete di sensori di cui il telefono cellulare è quello che meglio conosciamo; sono penetrati nella nostra vita quotidiana e delineano una rete di poteri controllati da giganti economici che, attraverso i giganti digitali che offrono servizi beni e servizi, sono in grado di raccogliere dati sula nostra vita.
Dobbiamo chiederci come l’umano e il sociale vivono questa nuova situazione. La prima reazione è sicuramente positiva perché questa infrastruttura di dati favorisce la crescita della creatività umana. Ormai accettiamo passivamente ogni innovazione tecnologica. La meraviglia, che ci ha accompagnato all’inizio di questa rivoluzione è scomparsa. Tutto avviene a una velocità mai vista prima, che modifica la nostra percezione dell’organizzazione del tempo e dello spazio sociale. Lo spazio si riduce e si contrae. Si modificano gli atteggiamenti, i valori, gli stili di vita, le relazioni; il futuro è negato e tutto si concentra sul presente. Mentre nel passato le mutazioni avvenivano con un ritmo che consentiva la condensazione sociale, il consolidarsi delle classi e pertanto il sorgere di solidarietà, oggi si corre e non si ha “più tempo”. Si ha la sensazione di non riuscire a tenere il passo, così nasce la depressione e il rancore che sostanziano il moderno individualismo .
I modelli di società nei quali avevo costruito il mio impegno sindacale, e che avevano dato forza e potere al mondo del lavoro dipendente, hanno subito una metamorfosi profonda, che lacera il tessuto solidale su cui si era costruita una proposta sociale. Viviamo in una società polverizzata dove è difficile rintracciare le polarizzazioni sociali che abbiamo utilizzato per anni: la classe, l’interclassismo, il pluralismo sociale, la dimensione comunitaria.
Oggi è possibile conoscere le persone, le loro abitudini, consumi e spostamenti. Conosciamo la loro intimità. Siamo arrivati al punto che si conoscono le loro intenzioni e domani decifreremo le emozioni: non è fantascienza ma realtà. Un’azienda come Google sa di noi più cose dei nostri familiari e attraverso l’elaborazione delle informazioni raccolte è in grado di fornire servizi personalizzati. Con i suoi algoritmi, Google ha la possibilità di conoscere con estrema precisione le persone. Ma cosa distingue il servizio dalla sorveglianza, e come il sorvegliare si abbina alla discriminazione? Molti di noi si consolano dicendosi che non hanno nulla da nascondere, ma la privacy non consiste solo nella tutela dei propri segreti.
La tutela della privacy dovrebbe soprattutto consistere nella garanzia dell’autonomia, della libertà di scelta, della dignità delle persone. Un individuo messo costantemente sotto sorveglianza, da attori pubblici o privati, anche senza che siano posti limiti alla sua attività, è una persona completamente libera? La dignità della persona esige che non ci sia una sorveglianza generalizzata, anche se fatta a fin di bene: se vogliamo che si determinino le condizioni del bene comune abbiamo bisogno per prima cosa di persone libere, capaci di discernere tra ciò che è bene e ciò che è male. Su questa visione, e forse per giustificarla, si è costruita l’ideologia della “trasparenza”. Ha ragione il filosofo coreano tedesco Byung-Chul Han, quando nel libro La società della trasparenza afferma: «Il vento digitale della comunicazione e dell’informazione pervade ogni cosa e rende tutto trasparente. Soffia attraverso la società della trasparenza. La rete digitale come medium della trasparenza, però, non è soggetta a un imperativo morale. Essa è, per così dire, senza cuore – il quale è stato tradizionalmente un medium teologico-metafisico della verità. La società della trasparenza digitale non è cardiologica, ma pornografica […] Non tende ad alcuna purificazione morale del cuore, ma al massimo profitto, al massimo interesse. L’illuminazione promette, infatti, uno sfruttamento massimo».
Il concetto di trasparenza ha assunto una dimensione salvifica e viene utilizzato per rassicurare l’opinione pubblica contemporanea. E pone criticamente anche la questione del rapporto tra fiducia a trasparenza: la domanda di trasparenza diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. In una società che si fonda sulla fiducia non esiste una forte richiesta di trasparenza. La società della trasparenza è una società della sfiducia, che può essere facilmente sottoposta al controllo. La forte richiesta di trasparenza rinvia proprio al fatto che il fondamento morale della società è diventato fragile, che valori come la sincerità o l’onestà divengono sempre più insignificanti. Si afferma così la trasparenza come nuovo imperativo morale. In una società della trasparenza e del controllo non si costituisce una comunità, la persona viene ridotta ad individuo e il sociale declassato a elemento funzionale del consumo, della produzione e del capitalismo.
Ha fatto bene il sindacato a sollevare la questione, ma non deve limitarsi a una visione particolare. Ha il compito di elaborare una visione di prospettiva che valorizzi l’autonomia di scelta delle persone. Davanti alla rivoluzione tecnologica in corso, il sindacalismo non può essere tecno-pessimista né eccessivamente tecno-ottimista, ma deve indicare una strategia politica, contrattuale e sociale che consenta alle persone al lavoro di stare dentro questo nuovo universo, restando in relazione e solidali.
