Trump interrogato dai cronisti sull’Air Force One ha frenato su un possibile imminente attacco contro il regime Venezuelano di Nicolás Maduro, ma le indiscrezioni sembrano andare in direzione opposta. La tensione ha ormai raggiunto il punto di non ritorno, e lo scontro tra Stati Uniti e Venezuela sembra presagire per Maduro un futuro – parafrasando Gabriel García Márquez – da “Cronaca di una morte annunciata”. Maduro è nel mirino di Washington, lo è da tempo, ma oggi i tempi sembrano maturi per una spallata definitiva. L’operazione che potrebbe defenestrare Maduro ha avuto origine dalla volontà dell’amministrazione americana di perseguire i cartelli della droga che operano in Centro e Sud America e che producono sul suolo degli States una lunga scia di sangue.
Così quello che è sembrato un vero accerchiamento per mare del Venezuela sembra trasformarsi in qualcosa di ben più profondo, capace di modificare gli equilibri nel continente americano. Anche il Presidente argentino Milei del resto ha usato parole durissime verso il regime di Caracas. Questo è il frutto politico e forse militare della nuova dottrina Monroe inaugurata da Trump con il suo ritorno alla Casa Bianca. I “Gringos” come li definisce Maduro da tempo sostengono l’opposizione venezuelana, ma con l’avvento del Tycoon e il Premio Nobel per la pace conquistato da Maria Corina Machado i dettami della precedente cautela sembrano essere definitivamente saltati.
L’attacco diretto contro Maduro dovrebbe prendere forma come un’operazione per via aerea contro gli impianti e le basi logistico-militari del cartello di Soles, che per le autorità americane ha al suo vertice lo stesso dittatore. Parliamo di un’organizzazione che secondo fonti della “Dea” esporta annualmente tra Stati Uniti e Europa oltre 500 tonnellate di cocaina. Gli Usa al momento sembrano intenzionati a consentire un passo indietro a Maduro prima di procedere con gli attacchi. La stessa Cia vi opera da tempo e in un regime corrotto non è scontato che i militari restino integralmente fedeli ad un tiranno che non ha la forza per reggere lo scontro con gli Stati Uniti e che per di più è inviso allo stesso popolo che opprime.
La flotta americana dispiegata nel Mar dei Caraibi attende a Trinidad e Tobago il semaforo verde per l’attacco, mentre la Portaerei Gerald Ford sta raggiungendo le unità navali già presenti nell’area e che da settimane affondano le imbarcazioni dei narcotrafficanti. Mentre l’Onu strepita inascoltato, il mondo delle potenze prende forma e anche qui la storia torna a bussare alla porta di un’istituzione che ha perso il suo senso fatto di equilibri che ormai sono saltati, e appare oramai come un antico rudere, esemplare di un modello di società che si è sopita per sempre.
È arrivato il tempo dei conti lasciati in sospeso e Trump sembra essersi incaricato della riscossione. Per questo anche le lamentazioni all’Onu degli eredi di Castro non sono altro che il segno tangibile della paura. Perché un cubano anticastrista come Segretario di Stato è una dichiarazione di guerra vivente al modello comunista nell’America latina. Perché se gli eventi prossimi non smentiranno le premesse – e la cosa è molto difficile – sembra che il futuro del continente americano si giocherà sullo “scalpo” di Maduro.
