A Minneapolis si è consumata una tragedia che, purtroppo, non è un fatto isolato nel panorama americano. Questa mostra le contraddizioni e le ipocrisie che circondano il modo in cui parliamo di stragi nelle scuole e, in questo caso, nei luoghi di culto.

Le indagini hanno per ora mostrato un quadro che i media preferiscono spesso non illuminare. E cioè un assalitore che aveva legalmente cambiato genere, che si identificava come donna, aveva inciso sulle armi scritte come “Kill Donald Trump” e diffondeva online contenuti antisemiti. Un profilo molto comune nel contesto della violenza americana, ma che raramente viene raccontato con la stessa chiarezza con cui si analizzano le inclinazioni ideologiche di altri attentatori. Negli Stati Uniti, la narrazione della violenza è selettiva. Quando il colpevole è un suprematista bianco, un estremista di destra o un radicale misogino, il racconto è dettagliato, con una precisa collocazione ideologica che diventa argomento politico. Quando invece l’assalitore appartiene a categorie più protette, o rivela simpatie politiche di sinistra, il racconto si annacqua. Le responsabilità vengono ridotte a fragilità psichiche, isolamento, o disagio.

Oltre a questo, ciò che rende realmente più ipocrita il quadro è il modo in cui, in America, viene definito un “mass shooting” e soprattutto uno “school shooting”. Per essere classificato come mass shooting, devono esserci almeno tre vittime, al di là delle circostanze. Allo stesso modo, non tutti gli atti violenti avvenuti nei pressi di una scuola e che finiscono nella categoria di “school shooting” per fare numero, sono mediatizzati. Classificare un evento come “school shooting” porta a una risposta legale e investigativa molto più forte, mobilita l’FBI, crea pressione per nuove leggi sul possesso di armi. Al contrario, episodi che non rientrano nello schema prestabilito vengono relegati in cronaca locale o trattati come episodi di criminalità comune.

Questa dinamica genera un effetto perverso sulla percezione collettiva. Gli americani, ma anche il resto del mondo, sono bombardati da statistiche che mostrano un numero crescente di “school shootings”, senza distinguere tra episodi diversi per natura, scala e motivazioni. Continuare a proteggere alcune narrazioni e a demonizzarne altre non aiuta a comprendere il problema né a prevenirlo. Al contrario, crea un quadro falsato che impedisce alla società di affrontare le radici reali dell’estremismo, che possono trovarsi a destra come a sinistra.

Andrea Molle

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