Miano, la lancetta dell’orologio è quasi sulle 12, siamo in una scuola. Pochi minuti e l’istituto si trasforma in una scena del crimine, un ragazzo di diciassette anni viene accoltellato da un coetaneo: due fendenti, uno al braccio e uno alla schiena. I soccorsi arrivano e lo portano d’urgenza al Cardarelli, poco dopo i medici faranno sapere che è ricoverato nel reparto di rianimazione, la prognosi è riservata ma non è in pericolo di vita. Per fortuna.
L’aggressione non è avvenuta in classe, probabilmente in cortile o tra i corridoi della scuola, una succursale dell’Istituto Duca di Buonvicino, si tratta di un istituto professionale per servizi di enogastronomia e ospitalità alberghiera. Alla base dell’aggressione culminata con due coltellate, una discussione nata lunedì sera all’esterno della scuola. Un fatto gravissimo che colpisce forte come uno schiaffo in pieno volto una generazione alla deriva, accecata dalla violenza e una generazione, quella degli adulti, che pare non essere in grado di comprendere e aiutare i ragazzi. A questo si aggiunge un sistema scuola oramai al collasso. Così a qualche ora dall’aggressione, è intervenuta sull’accaduto la preside dell’Istituto Carmela Musello: «La scuola non c’entra niente – ha esordito la dirigente scolastica – È un fatto gravissimo, certo, ma si tratta di due bravi ragazzi e siamo sconvolti – aggiunge – nessuno dei due ha mai mostrato alcun atteggiamento violento». E ancora: «L’accoltellamento di un ragazzo nei confronti di un altro è un fatto gravissimo. Il motivo è da ricercarsi in fatti successi fuori scuola ieri sera».
E invece la scuola c’entra eccome, perché è un’istituzione deputata sì a fornire competenze ma anche e soprattutto a formare le nuove generazioni e chiamarsi fuori dalla vicenda non è sembrato l’atteggiamento più idoneo. «Questa frase mi ha fatto arrabbiare moltissimo – commenta la docente universitaria Maria Luisa Iavarone – da dirigente di un sistema formativo non puoi preoccuparti solo di chiamarti fuori come se la scuola si chiudesse nello spazio di un’aula. La scuola – continua – è un concetto educativo i cui effetti si dovrebbero vedere fuori dai confini fisici dell’Istituto. Non è successo in classe, ma che c’entra? Mi sembra grave che un educatore si pronunci in questi termini. Parliamo tanto di responsabilità educativa diffusa, raccontiamo l’idea di una scuola che non si esaurisce in un’aula, ma si prolunga sul territorio, nella società civile. La scuola c’entra eccome» conclude la professoressa Iavarone.
Quando un ragazzino di diciassette anni riceve due coltellate da un coetaneo, per di più mentre sono a scuola, c’entriamo tutti, siamo tutti coinvolti. Il fallimento è di tutti. «La preside della scuola dice che erano bravi ragazzi, ma il problema è che oggi la scuola non ha elementi per individuare i disagi che ci sono al di là delle apparenze – afferma la professoressa Iavarone – Il problema è che gli educatori non riescono a scavare nel sottotraccia. Non mi piace l’immagine di una scuola che si chiama fuori dalla responsabilità, l’educazione non si fa con il metro in mano per misurare i confini entro i quali è responsabilità della scuola. Deve essere un metodo diffuso e deve migliorare – aggiunge – Servono “lenti multifocali” per osservare il rischio a diverse distanze e invece ci accontentiamo della superfice. Dobbiamo invece lavorare sul pre-rischio nei territori prima che i “guai” si verifichino». E atterriamo sempre sullo stesso atavico problema: la prevenzione. Si interviene sempre dopo, quando oramai è troppo tardi e un minore ha già commesso un reato grave che condizionerà il suo futuro.
