Dopo che la Cina ha annunciato una vasta serie di nuove restrizioni all’export di terre rare e prodotti derivati, la Commissione Europea ha cercato di calmare le acque. Ieri, il commissario al commercio Maros Šefčovič ha avuto una telefonata con il ministro del Commercio cinese Wang Wentao, invitandolo a Bruxelles per discutere ulteriormente la questione. Wang avrebbe accettato.
Il problema della “charm offensive” di Šefčovič è che gli Stati membri dell’UE potrebbero pensarla diversamente. Secondo Handelsblatt, alcuni paesi spingono per utilizzare lo strumento anti-coercizione europeo come risposta alle restrizioni cinesi. Il Consiglio Europeo ne discuterà nel prossimo vertice, previsto per domani, dove la difesa europea – un tema direttamente connesso all’export control – è già in agenda. Anche se c’è un certo sostegno all’uso dello strumento anti-coercizione, ottenere la maggioranza qualificata per farlo sarà complicato. Come già accaduto con i dazi sulle auto elettriche cinesi, diversi paesi – tra cui probabilmente la Germania – temono di inasprire troppo i rapporti con Pechino.
I dazi automobilistici alla fine hanno avuto il via libera, ma attivare lo strumento anti-coercizione sarebbe un salto di livello: permetterebbe all’UE di usare un’ampia gamma di contromisure contro la Cina, dai dazi e restrizioni sugli investimenti fino a limiti sulle attività economiche nel mercato unico. Un diplomatico europeo, citato da Handelsblatt, ha paragonato l’uso dello strumento a “aprire una camera di tortura”. Un’altra opzione sul tavolo sarebbero restrizioni europee all’export. Un recente articolo dell’ECFR che spinge per l’attivazione dello strumento anti-coercizione ha citato diversi settori dove l’UE potrebbe esercitare pressione su Pechino: in primis l’aviazione civile, dove l’industria cinese dipende pesantemente da aerei, motori e macchine utensili europee. Anche i cuscinetti ad alta precisione e le turbine a gas pesanti rappresentano punti di vulnerabilità per la Cina.
Resta però il dubbio se tutto questo servirebbe davvero a dissuadere Pechino. Secondo una visione diffusa, la Cina usa le restrizioni per guadagnare leva negoziale nei colloqui commerciali, soprattutto con gli Stati Uniti. Ma è anche possibile – e forse più probabile – che lo faccia per lo scopo dichiarato: indebolire le forze armate occidentali. Dall’aeronautica ai missili guidati, molti sistemi militari dipendono infatti dalle terre rare per i magneti ad alte prestazioni. Alcune industrie potrebbero adattarsi; altre, no.
L’attivazione dello strumento anti-coercizione comporterebbe gravi contraccolpi per le industrie europee, soprattutto se coinvolgesse l’aerospazio. E questo ancora prima della inevitabile ritorsione cinese. Pechino dispone di un’ampia scelta di grandi aziende europee attive sul suo territorio contro cui reagire. La VDA, l’associazione dell’auto tedesca, ha recentemente avvertito che le restrizioni cinesi sul produttore olandese di semiconduttori Nexperia potrebbero bloccare la produzione automobilistica tedesca nel breve termine.
Essere tagliati fuori, anche solo temporaneamente, da mercati come quello aeronautico europeo o dei cuscinetti industriali è un sacrificio che Pechino sembra disposta ad accettare per raggiungere obiettivi strategici più ampi. È quasi certo che la Cina abbia già identificato queste dipendenze e avviato contromisure per ridurne l’impatto. La verità è che l’unica arma negoziale europea nei confronti di Pechino è l’abolizione del Green Deal. Fino a che Bruxelles non sarà disposta a mettere sul tavolo le politiche climatiche rimarrà in una posizione di sudditanza nei fronti del Governo cinese.
